Ramsey Campbell – L’ultima rivelazione di Gla’aki – Recensione
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L’ultima rivelazione di Gla’aki è un ottimo romanzo weird/horror che non può mancare nella biblioteca degli amanti del genere e degli appassionati dei c.d. Miti di Cthulhu di ispirazione e genesi Lovecraftiana.

Il romanzo segue la ricerca dei volumi che compongono “L’ultima rivelazione di Gla’aki”, pseudobiblium immaginario (simile ai noti Necronomicon o De vermis mysteriis a cui si ispira)  da parte di un bibliotecario. Il protagonista è una persona comune, ben caratterizzata, in cui l’immedesimazione da parte del lettore è totale e coinvolgente. Ci troviamo a vivere nei suoi panni allucinanti giorni, quasi ipnotici e onirici, in un paesino marittimo che richiama profondamente la Innsmouth di Lovecraft, sia nella descrizione, che nel clima e nella “fauna”.

Il romanzo è ricco di dettagli che lasciano presagire l’orrore che si cela dietro la realtà, che il lettore bene coglie, come piccoli sassolini lasciati a indicare la strada, beffardamente incompresi (o incomprensibili) al protagonista, per cui il senso di raccapriccio e alienazione trasmesso al lettore ne risulta amplificato. Tutto conduce al climax finale, dove l’orrore cosmico, di stampo lovecraftiano, si rivela in maniera netta e chiara, presentando un ennesimo Grande Antico, Gla’aki, che va a rimpinguarne l’elenco accanto a Cthulhu & Co.

Forse – unica critica – troppo frettoloso e tenero il finale, in cui ci troviamo lontani dal senso di follia e terrore a cui altri autori ci hanno abituato in simili contesti narrativi: Campbell è quasi dolce e paterno nel suo rapportarci a Gla’aki, lasciandoci quasi desiderare di incappare proprio in lui, se dovessimo scegliere fra i Grandi Antichi, piuttosto che in altri e più terribili suoi pari…

Il volume è corredato da due preziose appendici saggistiche a cura degli impeccabili Danilo Arrigoni e Walter Catalano, che ci introducono Campbell, la sua narrativa, la sua storia e la sua produzione (di cui troviamo anche una preziosa bibliografia italiana completa).

Libro consigliatissimo!

Dal sito di Edizioni Hypnos:

L’ultima rivelazione di Gla’aki

di Ramsey Campbell
(The Last Revelation of Gla’aki, 2013)

“La rarità vittoriana più famosa potrà pure essere un francobollo – il Penny Black –, ma è decisamente comune rispetto al libro più raro dell’epoca. È probabile che in tutto il mondo non sia rimasta neppure una copia de Le Rivelazioni di Gla’aki. […] Da allora nessuna copia è venuta alla luce, e la copia in possesso della Brichester University si trovò tra i volumi distrutti da uno studente alla fine del secolo scorso. Il libro più malefico, o una perdita per la letteratura sull’occultismo? Come il contenuto della biblioteca di Alessandria, Le Rivelazioni di Gla’aki potrebbe essere ormai leggenda.”

Glaaki : Grande Antico abitante in un lago nella valle di Severn nei pressi di Brichester, in Inghilterra. Ha l’aspetto di una gigantesca lumaca ricoperta di aculei metallici che, nonostante il loro aspetto, sono in realtà crescite organiche. Glaaki può anche estrudere tentacoli con gli occhi situati sulle punte, che gli permettono di guardare da sotto l’acqua. Si ritiene che sia venuto sulla Terra imprigionato all’interno di una meteora. Quando il meteorite si è schiantato al suolo, Glaaki è stato liberato, e l’impatto ha creato il lago dove ora risiede.

Nato a Liverpool nel 1946, Ramsey Campbell è il più importante autore horror inglese contemporaneo. Esordisce nei primi anni ’60 con racconti di stampo lovecraftiano, pubblicando nel 1964 con la Arkham House la sua prima raccolta The Inhabitant of the Lake and Less Welcome Tenants. Del 1976 è il romanzo La bambola che divorò sua madre, che lo consacrò nel mondo dell’horror. Ha all’attivo oltre trenta romanzi tra cui i più famosi La faccia che deve morire (1979), La setta (1981, da cui nel 1999 è stato tratto il film Nameless. Entità nascosta, diretto da Jaume Balaguero), Sogni neri (1983), Luna affamata (1986), e Antiche immagini (1989). L’ultima rivelazione di Gla’aki (2013) segna il suo ritorno alla mitologia lovecraftiana.

Campbell è l’autore inglese di genere che ha vinto il maggior numero di riconoscimenti: cinque World Fantasy, tredici British Fantasy, tre Bram Stoker, quattro International Horror Guild.

Laird Barron – La cerimonia – Recensione
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La cerimonia di Laird Barron, purtroppo, non mi ha entusiasmato, nonostante la profonda stima per le Edizioni Hypnos che stanno davvero meritevolmente riscoprendo il weird in Italia con un catalogo di spessore encomiabile.
La storia si sviluppa su più archi narrativi, con locations e momenti temporali differenti, che rendono un po’ spezzato il filo della trama.
Di fondo è una classica storia weird, in cui antiche presenze, culti innominabili ed esseri “alieni” di stampo Lovecraftiano, dominano il retroscena della vita dell’uomo che, sostanzialmente, può trascorrere serenamente la propria esistenza soltanto all’oscuro della reale trama che si tesse fuori dalla sua comprensione, salvo impazzire o sprofondare nell’orrore laddove riveli la verità nascosta e celata. Idea comune a questo tipo di narrativa, insomma…
Quello che però non mi ha soddisfatto è lo sviluppo dell’idea. Il romanzo in buona parte lo ho trovato noioso, incentrato su eventi privi di spessore e interesse e con una prosa non troppo coinvolgente.
Il protagonista soprattutto è il reale problema della trama, perché non permette un vero inserimento nella trama con l’immedesimazione: abbiamo una persona anziana, in cui difficilmente un lettore di media età o giovane riesce a calarsi, che però rende ancor più impossibile tale immedesimazione laddove si scopre essere un personaggio che finisce in avventure rocambolesche, con strani bravacci Messicani o Men-In-Black usciti dal peggiore episodio di X-Files. Manca cioè quella totale “normalità” e “quotidianità” della trama in cui l’orrore sovrannaturale irrompa come solo e vero elemento conturbante che è il meccanismo di sospensione dell’incredulità veramente portante in questo tipo di narrativa.
Trama – Dalla copertina:
Ci sono strane cose che sopravvivono ai margini della nostra stessa esistenza, che ci seguono al limite della nostra percezione, ci osservano dal buio che incombe oltre il calare della notte, solo un passo al di là del confortante calore delle luci. Neri portenti, strani culti, e cose anche peggiori attendono nell’ombra. I Figli dell’Antica Sanguisuga sono fra noi da tempo immemorabile, dall’alba dell’umanità ci accompagnano…
 
Donald Miller, geologo e accademico oggi ormai ottuagenario, da una vita cammina sul ciglio d’un abisso, tra i vuoti di memoria che gli oscurano la mente e certi improvvisi lampi d’inquietanti ricordi, che a tratti lo risvegliano a una realtà sinistra celata appena sotto il tenue velo d’amnesia, la sottile cortina della quotidianità. Sparsi frammenti, ora destinati a convergere verso una rivelazione sconvolgente, ciò che l’Oscurità, l’abisso oltre le stelle, ha infine per noi in serbo.
La nebulosa degli spettri – Vittorio Piccirillo – Recensione
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La nebulosa degli spettri  (Ed. Solfanelli) è il primo titolo di una saga che vanta al momento tre volumi, tutti ovviamente scritti da Piccirillo. Una saga di fantascienza d’avventura che NON può essere persa da chiunque si dichiari fan di Star Trek.

La storia segue infatti le avventure della Pattuglia Stellare, una sorta di sistema di sicurezza o polizia del cosmo, che viaggia attraverso mondi e pianeti per mantenere l’ordine nell’universo.

In questa particolare missione la Pattuglia è alle prese con dei pirati spaziali ed ecco che i ritmi tipici della space opera si fondono con temi e climi quasi Salgariani.

Con una astronave che non ha nulla da invidiare alla Enterprise – del cui equipaggio si ricalca il tenore militare e tecnico dei dialoghi – la pattuglia segue una pista per fermare i pirati, con atmosfere che vanno dai mercanti (alla Star Wars) ai pianeti meno evoluti, a combattimenti a suon di siluri e laser.

Buona la caratterizzazione dei personaggi, per lo più umanoidi dalle bizzarre caratteristiche: il Tenente Declane è il classico comandante imperturbabile; Lah’Komat – di cui il libro segue il punto di vista nella narrazione in prima persona – è un esperto navigatore e tecnico, come  Ne Ashar; Taidanosh è un nerboruto combattente, mentre Sheeda, membro femminile della truppa, è una esperta di armi.

Lo stile di Piccirillo è limpido e gradevole, facendosi leggere con piacere, senza appesantire nemmeno nelle abili scene di world building e approfondimento della scienza o dei costumi.

Un libro che piacerà sicuramente a chiunque ami la fantascienza, confermando ancora una volta la presenza di abiliti autori di questo genere nella nostra “classica” Italia.

Dalla quarta di copertina:

La nebulosa degli spettri appartiene alla “science-fiction”, genere che in passato ha riscosso un vasto consenso e che ancora oggi molti amano sebbene siano rimasti pochi autori, anche a causa della difficoltà di piazzare sul mercato – soprattutto in tempi di contrazione della proposta editoriale – questa fantascienza dai connotati vintage.
È un racconto di “space-opera”, un filone che ha avuto la sua massima espansione negli anni Trenta per poi essere ripreso e aggiornato da scrittori come Poul Anderson e Lois McMaster Bujold, e che ha ispirato kolossal cinematografici come Star Wars di George Lucas o serie televisive fortunate come Star Trek di Gene Roddenberry.
Gli ingredienti sono noti: scenari galattici caratterizzati da singolari manifestazioni di materia ed energia, in cui si muovono massicce astronavi coinvolte in spettacolari battaglie; alieni dai tratti esotici – eppure spesso più umani degli umani – che popolano vasti imperi contrapposti a potenti gilde commerciali dedite a traffici leciti e illeciti.
Nelle vicende della Pattuglia Stellare si ritrovano l’azione e le armi micidiali della Legione dello spazio di Jack Williamson, insieme all’avventura e alle invenzioni al limite del verosimile dei Lensmen di E. E. Doc Smith.
Romanzo dalle reminiscenze salgariane, seppur passate attraverso innumerevoli filtri letterari, gradevole e curato con scrupolo quasi filologico, non mancherà di divertire le vecchie e le nuove generazioni.

Copertina di Vincenzo Bosica [ISBN-978-88-89756-50-8] Pagg. 192 – € 12,00

vittoriopiccirillo

L’Autore:

Vittorio Piccirillo nasce a Milano nel 1967 e successivamente si trasferisce a Lodi, dove attualmente vive e lavora nel campo dell’informatica.
Da sempre ha una spiccata inclinazione per le scienze e per le tecnologie. Modellista dilettante, ha realizzato una piccola flotta di astronavi in scala ridotta e dipinte a mano. Sportivo convinto, pratica attività all’aperto come il trekking e lo sci di fondo.
La fantascienza lo appassiona fin da ragazzo e con orgoglio egli vanta una ricca collezione di libri inerenti al genere, a cui si sono aggiunti in tempi più recenti film e telefilm in videocassetta e DVD.
Ha pubblicato per le Edizioni Solfanelli tre romanzi sci-fi La Nebulosa degli Spettri (2009), La Profezia della Luna Nera (2010) e La voce della distruzione (2013).

 

 

Storie del Necronomicon – Max Gobbo – Recensione
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Voglio consigliare a tutti la lettura del libro di Max Gobbo, Storie del Necronomicon (ed. Tabula fati), che già dalla splendida copertina di Vincenzo Bosica (che si conferma uno dei migliori grafici contemporanei!) si presenta più che invitante.

Il volume è sostanzialmente strutturato come un’antologia di racconti – sulla scia dei maestri pulp che hanno dato vita al genere sulle riviste americane degli anni ’20 e ’30 – facilmente godibili se letti singolarmente, ma in realtà spesso legati da un sottile fil rouge che li lega fra loro.

Il libro è soprattutto un pastiche lovecraftiano, come evidente già dal titolo che richiama subito il famoso pseudobiblium inventato da Lovecraft, ma in molti tratti è parimenti debitore al grande maestro del heroic fantasy Robert E. Howard, sapientemente fuso con l’universo dell’altro grande autore citato. Così, accanto a storie in pieno stile lovecraftiano, troviamo racconti che presentano ambientazioni più fantastiche e addirittura personaggi, come il guerriero Kmer, che sembrano proprio usciti dalla penna di Howard, mentre lo stesso scirttore texano diventa personaggio di alcuni intrecci, in cui realtà e finzione si mescolano sapientemente.

Il libro gioca infatti anche con il mistero e con la realtà, confondendo le carte e portando a domandarsi se le grandi scoperte e inchieste giornalistiche di Jack Shepard esistano davvero (come ce lo si domanda del personaggio), così come da sempre tanti si chiedono se il Necronimicon esista… Forse il testo maledetto è stato anche in possesso di Lovecraft e Howard, come sembra rivelarci questo libro?

Insomma, il volume non può che piacere agli amanti del Solitario di Providence e del mondo che è sorto dalla sua narrativa.

Una nota sullo stile dell’Autore, che richiama esattamente il modello degli autori succitati di pulp, sembrando per certi versi magicamente uscito proprio dalle riviste dell’epoca, come se i racconti fossero degli inediti dei grandi maestri, miracolosamente risorti, piuttosto che l’opera di un nuovo e talentuoso autore. Il testo è scorrevole e si legge con piacere e facile comprensione: Gobbo sembra scrivere in maniera fin troppo semplice, con periodi brevi e taglienti, che non affaticano. Eppure, è sorprendente soffermarsi e notare come lo stile, contrariamente alle apparenze, sia frutto di grande maestria, perché quella linearità è il risultato della scelta perfetta di vocaboli che calcano precisamente il significato che l’autore vuole trasmettere, così che parrebbe impossibile sostituirli con altre parole. Ecco che la “semplicità apparente” si rivela così una grande dote, che porta più di una volta a complimentarsi per la capacità di utilizzare le specifiche parole usate da Gobbo e rendere così nitidamente e rapidamente il senso perfetto che vuole trasmettere.

storie del necronomicon COP new

Dalla quarta di copertina:

Chi commissionò al pittore Ben Yokhai nel 1893 il misterioso dipinto che nel corso del tempo s’è guadagnato una fama fra le più sinistre?
Qual è il contenuto innominabile del diario rinvenuto accanto al corpo senza vita dello scrittore Robert Ervin Howard nel giugno del 1936?
E infine, cosa ha scoperto di tanto spaventoso il giornalista americano Jack Shepherd?
Queste e altre domande troveranno risposta nelle pagine di questo libro che, partendo dal ritrovamento del più aborrito dei distici, narra degli abominevoli segreti che si celano oltre le nebbie impenetrabili dello spazio e del tempo che da sempre avvolgono il “Libro dei morti”.
Ma occorre usare cautela, poiché vi sono saperi proibiti che è bene ignorare, e rivelazioni sconvolgenti che l’intelletto potrebbe non sopportare.

maxgobbo

L’Autore:

 Max Gobbo alias Massimiliano Gobbo (1967), insegnante, nel tempo libero si dedica alla scrittura. Tra i suoi interessi principali figurano la narrativa dell’immaginario, la letteratura e il cinema.
È autore di diversi romanzi e di racconti fantastici come Garibaldi e i mostri meccanici e la Maschera nera, che rileggono in chiave “retrofuturista” la storia d’Italia. Nel 2010 esordisce con Protocollo Genesi edito da Aracne editrice presentato al XXIII Salone internazionale del libro di Torino.
Nel 2012 è finalista a Giallolatino col suo racconto La palude dei caimani.
Nel 2013 ha presentato al festival internazionale di fantascienza, Sticcon di Bellaria il suo Capitan Acciaio supereroe d’Italia edito da Psiche e Aurora editore, con prefazione di Gianfranco de Turris.
Maggio 2014, sulla prestigiosa rivista “Robot” (Delos Books) appare il suo racconto a tema steampunk, L’incontro di Teano.
Luglio 2014, sulle pagine di “IF – Insolito e Fantastico” rivista edita da Solfanelli compare il suo Aeronavi Italiche.
Il 2015 vedrà l’uscita d’un suo nuovo romanzo L’Occhio di Krishna per Bietti Editore.
Attualmente collabora con diverse riviste: “Skan Amazing Magazine”, “Politicamente.net”, “Letteratura Horror”, e col quotidiano on line “Barbadillo”. È curatore della sezione narrativa per la rivista “Antarès”.