Gustav Meyrink – La morte viola – Recensione
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Siamo giunti ormai alla sesta proposta della collana “I tre sedili deserti” (di cui ho già recensito vari volumi di Machen, Hodgson, Bergier e Merrit), dell’editore il Palindromo, che presenta la nuova edizione di un’antologia di racconti di Gustav Meyrink, dal titolo “La morte viola“, che da tempo era ormai introvabile nei cataloghi librari e che in questa nuova versione è impreziosita anche dall’aggiunta di un racconto inedito che era assente nelle precedenti edizioni.

Di Gustav Mayrink ho già  ampiamente trattato altre opere in questo blog: si tratta, come noto, di un importante scrittore “fantastico” (occultista ed esoterista per primo) del secolo scorso (primi del ‘900), celebre per opere come Il golemIl domenicano biancoLa notte di Valpurga e Il volto verde, e di cui sono usciti persino due volumi di scritti autobiografici e saggistici e cioè “Alle frontiere dell’occulto. Scritti esoterici (1907-1952)”, da  edizioni Arktos e “La metamorfosi del sangue“, edito in Italia da Bietti sulla collana l’Archeometro.

Proprio questi due ultimi testi citati, ritengo siano fra i più interessanti della produzione Meyrinkiana, perché ci presentano l’autore al di là delle sue opere, con vicende che ci mostrano come sia molto labile e impalpabile il confine tra il reale e il fantastico per l’Autore stesso.

Infatti, racconti di storie “vere” e vissute da Meyirink toccano pressoché qualsiasi argomento di carattere esoterico, con particolare predilezione per la magia, l’alchimia, la cabala e lo yoga, spesso con aneddoti in cui si fa davvero fatica a credere che l’Autore stia raccontando sue esperienze dirette piuttosto che un racconto inventato.

Ebbene, il volume ora in esame, “La morte viola”, ritengo ci presenti il più genuino Meyrink nella propria produzione narrativa: nella misura di questi racconti brevi, a volte epigrafici, ci sono sfumature che ricordano proprio quegli aneddoti autobiografici di cui si è accennato, ma questa volta con una evidente portata fantastica che trascenda il reale per coinvolgere ed emozionare con il racconto.

Eppure, tralasciando i racconti più forti e orrorifici, molti di questi racconti ci possono ricordare il vero Meyrink, con la sola differenza che mai parla di sé direttamente, come invece avviene nella forma autobiografica degli scritti esoterici, sebbene peraltro spesso il protagonista sia un suo evidente alter-ego.

Proprio nei racconti invece più lontani dal reale e dalla componente maggiormente visionaria, invece, l’Autore riesce a emozionare e stupire ben più di quanto ritengo gli riesca nei romanzi lunghi, dove spesso la componente fantastica è labile, sottile, velata e diluita in un racconto in cui la potenza dell’impatto si perde, restando invece fortemente percussiva nelle opere brevi che compongono questa antologia.

Non è facile descrivere compiutamente tutti i 28 racconti che costituiscono questa raccolta antologia, però un breve tentativo va fatto, seguendo l’ordine di pubblicazione.

Il volume si apre con il racconto dal titolo “Il soldato bollente”. che descriverei come una suggestione a metà tra una proto-fantascienza e un weird, incentrato proprio su un soldato la cui temperatura corporea raggiunge valori impossibili, con tutte le conseguenze del caso e comunque con una certa “sospensione dell’incredulità” del lettore, che funziona e convince.

Segue poi il racconto eponimo del volume, “La morte viola”, anch’esso ascrivibile a una proto-fantascienza oppure sempre a un weird e in cui una sorta di melma viola, generata da una sorta di mantra negromantico, porta sull’orlo dell’estinzione la popolazione umana.

“Terrore” è invece un racconto dove un’apparizione di un verme ripugnante e simile a una gigantesca sanguisuga ricorda molto da vicino orrori lovecraftiani o stokeriani.

“Tutta la vita è dolore ardente” è invece un racconto grottesco, in cui una serie di episodi giunge a una conclusione inaspettata (che non rivelo per ovvi motivi), ma che di fatto rappresenta una riflessione sulla vita e sulla filosofia, anche di stampo orientale, tema ricorrente nell’opera di Meyrink e in particolare nei racconti di questo volume.

Segue il racconto “Petrolio! Petrolio!” che rappresenta una sorta di satira sul potere economico e militare dell’uomo; quindi viene “La regina dei Braghi” che invece è un racconto dalle tinte fantastiche che potrebbe in qualche modo ricordare Clark Ashton Smith, stimolando su questi misteriosi “braghi” senza di fatto rivelare nel dettaglio la potenza di un’immagine che resta a metà tra l’onirico e il terrificante.

“La sfera nera” invece è un racconto che torna a toccare sfumature orientaleggianti e mistiche, con quel sapore di incantesimo e alchimia tipicamente Meyrinkiano, che ancora ci porta ad atmosfere da grandi maestri pulp di inizio ‘900.

“Il preparato anatomico” e un ennesimo racconto dalle forti tinte horror, che si può annoverare in quel filone “zombie” e di stampo cadaverico in cui Frankenstein è capostipite, prima di Herbert West.

“Il dottor Lederer” torna invece ad essere un racconto abbastanza ironico, incentrato su un caso giudiziario di dubbia paternità.

“L’opale” è invece un racconto che attinge nuovamente da una mitologia di sapore orientale per descrivere una grottesca e sovrannaturale quanto spaventosa origine di questa pietra…

“Sibili alle orecchie” è un racconto brevissimo, ma di potenza visionaria, su una voragine infernale, al di sotto di una casa, da cui si può udire un sibilo demoniaco a perenne monito dei sognatori…

“L’uomo sulla bottiglia” è un racconto sempre grottesco, di atroce agonia, che ricorda invece molto di più lo stile di Edgar Allan Poe, così come  “La goccia della verità” ha uno stile che mi ha ricordato molto Carl Jacobi, ed è incentrato sulla possibilità di vedere tutto il mondo – e con esso improbabili orrori al di là – in un oggetto sferico perfetto, ivi compresa una piccola goccia di liquido, capace di rivelare orrori dal sapore lovecraftiano.

“Declino” è invece un altro racconto in cui il misticismo orientale si fonde e confonde con il weird, laddove la rivelazione del cosmo prende il sopravvento, portando sostanzialmente un povero sventurato a impazzire (e quindi al declino); così anche il successivo racconto “Chimera” si può dire che confonda il misticismo con immagini grottesche e mostruose e persino nuovamente con un pizzico di alchimia. “Suggestione” invece è un racconto in forma di diario, in cui l’autore finisce per suggestionarsi, cercando di fare esperimenti sugli effetti del veleno e la visione degli spiriti dei morti avvelenati, fino al punto in cui l’esperimento stesso gli sfugge dal controllo… “Lacrime bolognesi” è nuovamente un racconto in cui visioni orientaleggianti legate a delle piccole gemme di vetro portano con sé sventura e morte.

“G.M.” come le iniziali del protagonista è invece un racconto dal sapore ironico, in cui un personaggio prende la propria rivincita su una città con una brillante truffa orchestrata sull’ingordigia degli uomini. “Malato” è invece nuovamente una sorta di parabola che riflette sul vuoto senso della vita e sull’incompletezza della mente umana.

“Coagulo” è uno dei racconti più belli in assoluto: nuovamente il protagonista è una sorta di alter-ego dello stesso Meyrink, un alchimista/stregone che evoca un demone, in una scena dal potere suggestivo veramente terrificante, ed incentrato sulla rivelazione di un tesoro da parte del demone stesso e la sventura che tale rivelazione reca con sé.

“Le piante del dottor Cinderella” è ancora fra i racconti più belli in assoluto ed è nuovamente un horror dalle forti tinte visionarie, in cui questo Mad Doctor riesce veramente a far fiorire orribili fiori umani da resti corporei. “Bal macabre” è invece un racconto allegorico sui poteri dei veleni. in un grottesco club dove una sorta di “danza macabra” poetica prende piede. “L’urna di San Gingolph” è nuovamente un episodio molto macabro e dal contesto funerario e cimiteriale che sembra ricordare le morti premature e per seppellimento, tema alquanto discusso all’epoca, e nuovamente in una certa misura echeggiante il maestro Poe.

“Buddha è il mio rifugio”, si pone sempre in chiave allegorica su una riflessione della filosofia buddista cara allo scrittore, che era anche, come accennato, un cultore dello yoga.

“Il baraccone delle figure di cera” è sempre del filone grottesco, laddove una serie di conoscenze al confine con il voodoo e la negromanzia (e la chimica-alchemica) portano a uno spettacolo macabro che lega il destino di due gemelli e presunte figure di cera che potrebbero non essere affatto ciò che sembrano di primo acchito… Così come il successivo racconto “L’albino” è una storia sempre dal sapore raccapricciante e maligno, in cui depravati studi alchemici di una sorta di loggia massonica, conduce alla pietrificante morte di un giovane per effetto di una pergamena maledetta – La lettera sigillata di Praga – capace di annichilire persino la forma stessa delle persone, il tutto per intervento di un essere malvagio a sua volta così plasmato attraverso riti ed esperimenti abominevoli.

“La febbre” nuovamente ricorda da vicino Poe, anche per la presenza di “corvi” (come nella splendida immagine di copertina in viola), e in una delirio febbricitante si presenta come un ennesimo esperimento di allegoria in chiave alchemica.

“La saggezza del bramino”, per concludere la raccolta, è il racconto inedito che mancava in precedenti edizioni de “La morte viola” e nuovamente si pone sul tema della filosofia orientale in una lettura però ironica e satirica su come, a volte, serva sì la saggezza di un bramino per comprendere l’origine dei dolori nel mondo, ma come molto spesso sia semplicemente l’uomo stesso lo stupido artefice del proprio malessere.

I racconti, che sono preceduti da una introduzione sintetica di Andrea Scarabelli, sono seguiti da un excursus sulla figura di Meyrink e sul contenuto dei racconti di questa antologia, curata dal bravissimo Gianfranco De Turris, che – assai meglio di questa mia sintetica recensione – riesce a spiegare tutti i riferimenti presenti nei racconti e porli in collegamento con la vita dell’autore, che peraltro è sinteticamente raccolta in una nota biografica conclusiva.

In mezzo, un simpatico racconto allegorico dal sapore molto Meyrinkiano, ci descrive la curiosa tomba dell’Autore stesso, ricoperta dall’edera e con uno strano epitaffio in un simbolo a sua volta quasi magico, in questo simpatico intervento firmato da Anna Maria Baiocco, che è anche traduttrice dei racconti.

Traduttore: Anna Maria Baiocco
Editore: Il Palindromo
Anno edizione: 2021
Pagine: 328 p., Brossura
  • EAN: 9788898447763