Arthur Machen – La collina dei sogni – Recensione
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Trama (dal sito Il Palindromo):

Il giovane e introverso Lucian Taylor, emblema del letterato decadente e maledetto, cerca di evadere, attraverso la scrittura, dalla realtà stantia e borghese di un paesino del Galles del XIX secolo.

Gradualmente la dimensione onirica prenderà il sopravvento e il giovane si ritroverà a vivere un’esistenza dissociata, a metà tra un passato mitico, puro e selvaggio e un presente crudele e disumano. L’approdo in una fredda e caotica Londra estrometterà, infine, ogni spiraglio del reale dalle giornate solitarie di Lucian.

Ripubblicato a trent’anni dalla prima edizione italiana, con un’introduzione inedita dello stesso Machen, La collina dei sogni (1907) è un classico della letteratura inglese. Questa è la prima edizione integrale in italiano dell’opera.

Arthur Machen (1863-1947), tra i maggiori letterati inglesi di fine Ottocento, ha condotto il genere fantastico a picchi letterari altissimi.
Considerato un maestro da H.P. Lovecraft e ammirato da Stephen King, tra le sue opere principali ricordiamo Il grande dio Pan (1894) e I tre impostori (1895).
Commento.

Il Palindromo sta recuperando dei testi di grande spessore per la narrativa fantastica nella collana de I tre sedili deserti (che personalmente mi ricordano la triade degli Asi), come Il vascello di Ishtar (di Abraham Merrit già recensito): si tratta di testi complessi, leggibili su più livelli e spesso con spunti esoterici di lettura.

Questa edizione riprende la traduzione (e postfazione) di Claudio De Nardi, ma arricchisce il testo con una prefazione del sempre ineccepibile De Turris e la introduzione originale di Machen all’edizione americana, oltre ad alcune ottime immagini d’epoca (tra cui una illustrazioni di Sime, tanto caro a Lovecraft).

Come anticipato, il testo offre vari livelli di lettura e sicuramente offre un Machen molto diverso dall’autore horror noto e amato.

Un primo livello è quello narrativo: la storia ci offre la breve parentesi di vita del giovane Lucian Taylor, partendo dall’infanzia (quasi un tempo-luogo del sogno e dell’innocenza perduta) nel piccolo paesino di Caermaen, dal peregrinare nei boschi – dove i resti di un antico sito romano aprono la fantasia verso paesaggi onirici e mitici – al fascino del primo amore, forse salvifico e perso per sempre con l’innocenza. Il giovane Taylor scrive un libro e presto viene truffato e plagiato da un editore: altro cunicolo della vita che conduce a un percorso fatale. Lucian si trasferisce in città, a Londra, entrando in contatto con un mondo molto più crudo e duro, perdendosi nel delirio della propria ricerca di un “nuovo capolavoro” che, questa volta, non gli sia rubato. Una durezza, quella cittadina, che c’era anche nel piccolo paese di Caermaen – come attesta un’agghiacciante scena di violenza da parte di alcuni bulli su un cagnolino – che però a Londra sembra quasi esplodere all’eccesso. Lucian si isola nel proprio mondo, fatto di droga, fino a dimenticarsi di un padre che muore senza quasi avere il piacere di salutarlo o rivederlo e, ancora oltre, fino a perdere lui stesso la vita, in quella che è probabilmente la prima morte bohemian per overdose della storia. In questo Machen è precursore, ma di un genere molto diverso da quello che ci aspettiamo, molto più greve e angosciante.

Un secondo livello di lettura è quello visionario: nei sogni della collina (del titolo) e delle antiche rovine, Machen tratteggia il mondo fatato e celtico che tanto gli è caro e caratteristico, mentre nei deliri della droga le visioni si fanno più cupe e grottesche, fino a punte di horror o visioni infernali alla De Quincey, con Sabba di streghe e demoni, quasi in un’eco delle teorie occultiste di Crowley (e della Golden Dawn) e preludio alla dannazione spirituale di chi ha sprecato la sua vita.

Un terzo livello di lettura è quello erotico: dal sentimento purificante e salvifico dell’adolescenza (che quasi avrebbe potuto riscattare e deviare un’intera vita persa), alle perversioni del femminino più conturbante e bruciante (sacro o profano, in un’ambivalenza inscindibile).

Un quarto livello è quello letterario, in cui Machen – attraverso gli esperimenti e gli esercizi narrativi di Lucian – si proietta in un’articolato esame di Autori, Scrittori, stili e modelli, quasi a voler dimostrare di conoscere e saper imitare o persino superare anche i più complessi maestri che lo hanno preceduto, in una sorta di riscatto autoriale personale: schiacciando persino il suo personaggio, sotto il maglio della sua bravura.

Il quinto (e forse ultimo) livello è quello esoterico: in cui la vita stessa diventa un modello alchemico, una grande opera capace di portare alla realizzazione e alla propria elevazione, come il raggiungimento del Sacro Graal per un cavaliere di Avalon (parallelismo a tutta la trama, che sembra quasi perdersi nella mitica isola), laddove il Graal è Spirito, prima che materia. Il vagabondare si trasforma, anche in questa storia (come in molte opere di Machen), in un errare nel (metodo) percorso della vita (ascesi). Un mondo superiore e felice, perfetto e quasi divino, è oltre un labile velo, che sognatori e poeti, quasi dei dervisci moderni, sanno scorgere attraverso le pieghe del reale e (persino) dello squallido.

collana: I tre sedili deserti, 1

note: traduzione di Claudio De Nardi, prefazione di Gianfranco de Turris

aprile 2017, pp. 288

15x19cm, bross.

prezzo 18€

ISBN: 978-88-98447-31-2