Dracula di Stoker, in una nuova versione alternativa Islandese
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A quanto pare nel 1901 in Islanda è stata pubblicata una versione alternativa di Dracula di cui non si era pressochè accorto nessuno fino al 1986 e che solo oggi viene tradotta in Inglese: questo grazie alla meritoria opera di Hans Cornell De Roos (classe 1956), studioso fra i massimi esperti mondiali di Dracula, che ha scoperto, tradotto, annotato e curato la traduzione in inglese del testo originale islandese.

Si tratta cioè di un testo, con introduzione di Stoker, che per un secolo tutti hanno considerato semplicemente una traduzione di Dracula: solo nel 1986 ci si è accorti che c’era questa introduzione ad hoc di Stoker, originale, che ha attirato un po’ di attenzione, ma – evidentemente causa la complessità della lingua – tutto si è fermato lì.

MM prefaz

Nel 2014 De Roos si è spinto oltre, incuriosito dalla prefazione, e ha scoperto che si tratta di una vera e propria traduzione modificata e adattata che costituisce una sorta di romanzo parallelo, redatto a quattro mani da Bram Stoker e Valdimar Asmundsson e dal titolo Makt Myrkranna (letteralmente “I poteri delle tenebre”), in cui – pare, non ho potuto leggerlo – che siano modificati nomi, luoghi e situazioni al punto da costituire appunto una versione alternativa del romanzo Dracula.

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Per la prima volta oggi è stata pubblicata un’edizione in lingua inglese, curata appunto da De Roos, disponibile sul mercato americano, canadese e inglese, con prefazione di Dacre Stoker [pronipote dell’Autore originale e già autore di libri e romanzi a tema vampiresco, tra cui un seguito di Dracula (Undead – Gli immortali) che francamente mi sono sempre rifiutato di leggere perché la trama mi sembra a dir poco penosa e offensiva]: un testo indubbiamente interessante, che potrebbe valere la pena leggere e conoscere, specialmente per gli amanti di Bram Stoker e del suo capolavoro originale.

Il libro è acquistabile (in pre-ordine) su Amazon: https://www.amazon.com/Powers-Darkness-Lost-Version-Dracula/dp/1468313363

Maggiori informazioni sono rintracciabili sul sito originale, nonché fonte del presente articolo: http://powersofdarkness.com/

Non c’è che da sperare che qualche editore italiano voglia acquisirne i diritti (nel caso, mi offro di scrivere una prefazione all’edizione italiana fin d’ora).

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For the images: copyrights of the owners.

Fine 2016 e inizio 2017 col botto, per il sottoscritto!
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Il 2016 è stato un anno di cui non posso assolutamente lamentarmi dal punto di vista dello “scrittore”.

Ho vinto il premio, nella sezione “ROMANZO FANTASY”, della Prima Edizione del Premio Nazionale di Letteratura “Le figure della parola” con il mio romanzo “Il Dio del dolore”, che continua a regalarmi soddisfazioni dopo circa 2 anni dalla pubblicazione.

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Sono stato presente, con un contributo in forma di racconto o articolo, su ben tre antologie e due riviste inedite: Continuum Hopper, Antares n. 11, Gli universi di Ailus Heroic Fantasy Vol. 1, Studi Lovecraftiani n. 14 e Narragenda 2017

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Sono stato intervistato sul n. 76 della rivista Inchiostro e un estratto del mio saggio su H.P. Lovecraft è stato pubblicato in appendice al 2° volume del fumetto “Sherlock Holmes & il Necronomicon” Ed. Now Comics

A fine anno, con uscita nel 2017, che si apre già benissimo, ecco arrivare la prima traduzione e pubblicazione di un mio racconto fuori dall’Italia: in particolare, il mio racconto “La pietra” sarà presente, col titolo “La pierre”, sul n. 7 della prestigiosa rivista Gandahar, a cura di Jeanne-Pierre Fontana.

gandahar

E con gennaio 2017 ecco uscire una nuova antologia, sempre di Italian Sword & Sorcery e a cura di Alessandro Iascy e Francesco La Manno, per Watson Edizioni: il volume “Eroica“, primo della nuova collana TrueFantasy, che penso ne farà vedere delle belle nel 2017.

Eroica

Insomma, sarà difficile superarsi nel 2017, ma ci proverò… State sintonizzati, perché penso che almeno qualche altra cartuccia da sparare la avrò quest’anno!

Rogue One
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Rogue One, ovvero lo spin-off di Guerre Stellari, praticamente l’episodio 3.5.

Possibili SPOILER nel testo che segue.

La storia parla della ricerca dei progetti della Morte Nera da parte dei ribelli: non compaiono Jedi, né quasi alcuno dei protagonisti delle varie trilogie, salvo qualche cameo, tra cui Darth Vader e la principessa Leia.

Il film è piacevole, una sorta di rivisitazione dei sette samurai in chiave di quest fantascientifica a sfondo Star Wars.

La protagonista, nuova principessa Disney con 2 palle così, è ben realizzata, mentre gli altri personaggi sono per lo più rispondenti a cliché e poco sviluppati: una specie di maestro di arti marziali, orientale e cieco, che non è un jedi e che non fa altro che ripetere mantra de “la forza” e compiere cose incredibili, non si sa bene come, a volte più per caso o per fortuna che per scelta; un pilota dal cervello liquefatto che però si ripiglia e ne sa a tronchi di tutto; un robot riprogrammato che fa quello che fa qualsiasi robot nella saga, compreso parlare a vanvera; il bello e dannato di turno, riluttante sul suo ruolo; mercenari guerrafondai che sparano a rullo su tutto quanto si muove… Se volete far diventare questi personaggi fra i nuovi eroi stereotipi della vostra vita fate pure, ma sareste molto tristi e vi invito a cercare di meglio in tantissima altra produzione filmica e libraria…

Impressionante il modo in cui è stato ricreato e riportato in vita, al computer, l’attore Peter Cushing, che di fatto recita: siamo di fronte al futuro della cinematografia, con attori in CG che soppianteranno quelli reali? Basta vedere a quello che succede alla Principessa Leia che, siamo certi, rivedremo anche in episodio 8 (già terminato) e 9 (che sarà riscritto), nonostante la morte di Carrie Fisher, visto che non pare un problema per la Lucas rifare gli attori in CG.

Lodevole come la Disney non abbia voluto mettere a tutti i costi una love story in un film, anche laddove la possibilità e il rischio c’erano (e tengono in sospeso fino all’ultimo).

Il film termina proprio laddove inizia episodio 4: frequenti le citazioni del concetto di speranza nel film, che vanno a collegarsi al nuovo titolo del celebre Guerre Stellari, Una nuova speranza.

Il regista Gareth Edwards è lo stesso dell’ultimo film di Godzilla: quest’ultimo, più fedele all’originale mostro nipponico, rispetto all’omonimo film di Emmerich (che ha fatto un mix tra King Kong e Jurassic Park, comunque ben riuscito), è un film bruttino, in cui succede poco o nulla, tranne vedere il mostro distruggere mezzo mondo (che poi è la trama di qualsiasi film di Godzilla)… Soprattutto è un film lentissimo, in cui ci si rischia di addormentare e, in effetti, anche questo Rogue One è penalizzato a tratti da una lentezza agghiacciante e soporifera.

Il film, nonostante tutto, è piacevole, come lo sono quasi tutte le storie di Star Wars, compresi i cartoni animati, perché di fatto parliamo di un universo fra i più affascinanti e coerenti creati da autori fantastici a 360 gradi…

Eppure, ritengo che sia un film di cui si può tranquillamente fare a meno, molto lontano dai toni epici della saga classica: sempre più Star Wars diventa un fenomeno di mercato, per fare cassa, piuttosto che sinonimo di qualità.

Vedremo i prossimi episodi e spin-off, preparandoci al peggio, come già ha saputo anticiparci Episodio VII che, francamente, ho trovato abbastanza deludente.

Voto, su scala 1/10: 6,5.

[Avrei potuto dare anche un 7 per essere coerente col voto dato a Episodio 7, che non è affatto meglio di questo film… Ma sinceramente non voglio essere troppo buono, per non vincolarmi troppo per il futuro.]

Star Wars – Episodio VII – Recensioni
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Recupero la mia vecchia recensione di Star Wars – Episodio VII che è andata persa dopo la ristrutturazione del sito.

Star wars. Voto 7 come il numero di episodio. Niente spoiler per non rovinare il film a nessuno. Avremo tempo per i chi ha fatto cosa. Il 7o capitolo è più un remake (reboot?) del 4o (per me primo) episodio che qualcosa di nuovo. Piacevole, ma siamo lontani dai livelli epici cui Lucas ci ha abituato (episodio 3!). Troppi cliché e cose già viste (tranne una davvero bella quasi subito). Credo (spero) che questo film fosse solo un assaggio, un ponte che apra la strada a nuovi personaggi e storie per il futuro. Se no, vuol dire che la Disney ci prende tutti per il culo; oppure che ha finito le idee (e allora saremmo davvero rovinati). Buona visione a tutti e che la forza sia con voi!

The Boy – Recensione
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The Boy è un film Horror/Thriller del 2016, incentrato sulle vicende di una ragazza che, anche per sfuggire a un ex stalker, si trasferisce nella villa inglese di una famiglia per fare da baby sitter al figlio della coppia, desiderosa di una vacanza.

Giunta in loco, la ragazza – la bella Lauren Cohan di The wlaking Dead, vero pregio del film – scopre che i genitori sono eccentrici (pazzi) signori che, perso il figlio ancora bimbo, lo hanno sostituito con un bambolotto, che vestono, nutrono, mettono a letto etc…

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La villa è visitata solo da un fattorino tuttofare che li aiuta a tenere dietro alla consegna di spesa e smaltimento rifiuti e che di fatto diventa il comprimario maschile della storia.

Accudendo il bambino (Pupazzo) si deve seguire una lista di regole semplici ma efficaci che, se se violate, fanno arrabbiare il bambolotto…

Da qui seguono spoiler.

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SPOILER

Il film sembra scivolare in una classica ghost story in cui il bambolotto sia posseduto dallo spirito del bambino morto, con atmosfere e stili che ricordano vagamente Annabelle, Chucky e The others (il bambolotto è timido e non fa cose strane se non sei fuori dalla stanza, impossibilitato a osservarlo).

Il dubbio che un po’ echeggia per tutto il film si scopre verso la fine, quando c’è la conferma che il bambino non è mai morto, ma è diventato un adulto quasi più pazzo dei genitori che vive nascosto fra i muri della Villa, dentro gallerie e passaggi segreti, osservando tutto e di fatto compiendo le mosse e gli spostamenti del bambolotto che lo impersonerebbe bambino… Il tutto con il volto celato da una maschera identica al viso del bambolotto e che, per un istante, lo fa quasi sembrare un enorme bambolotto a sua volta.

Dopo la solita lotta fatta di fughe e accoltellamenti vari, in cui non muore nessuno nonostante un lavoro degno di Giulio Cesare, la ragazza fugge, lasciando un finale aperto in cui scopriamo che il “bimbo” è ancora vivo nella villa… Pronto per un sequel di cui francamente non si sente il bisogno.

Somnia – Recensione
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Somnia (Before I wake) è un film horror del 2016 (diretto e scritto a più mani da Mike Flanagan) incentrato sulla vicenda di un bambino orfano, perennemente affidato a famiglie diverse (che subiscono varie tragedie), di fatto capace di dare vita, in forma materiale, ai suoi sogni e ai suoi incubi… Con il risultato che, se i sogni sono bellissime farfalle meravigliose e permettono di riabbracciare persone care e rivivere momenti passati, gli incubi sono la personificazione di un mostro – “l’uomo cancro” – capace letteralmente di divorare la gente.

L’idea non è nuovissima – concettualmente ricorda “Nightmare” – ma è gestita in maniera originale e conturbante.

Il cast (Thomas Jane e Kate Bosworth) non brilla, nonostante faccia il suo lavoro egregiamente: il bambino protagonista (Jacob Tremblay) è bravo e penso lo rivedremo presto in altre pellicole.

Il film è piacevole, nonostante siano pressoché assenti scene di terrore vero e non conceda particolari tremori o salti sulla sedia.

La trama, costellata di personaggi dalla psiche al limite col patologico (e discutibili come genitori), tende a una involuzione che porta a domandarsi “dove andranno a parare” con il dubbio che finisca tutto in uno dei due modi classici del vicolo cieco: “tarallucci e vino” o “vaccata”.

Da qui seguono possibili spoiler…

Di fatto il finale fonde assieme le due paure precedenti, finendo in un “tarallucci e vino” che è anche “vaccata”: non si chiarisce quasi nulla, né è chiaro il destino dei personaggi, ma veniamo rassicurati (?) che tutto è tornato più o meno alla normalità (?!).

Di fondo tutto gira intorno a una personificazione del cancro che ha divorato la madre del bambino in una entità mostruosa (cosa che si capiva quasi da subito); ma gli autori non si spingono oltre nel dare un senso e una coerenza a una storia che probabilmente non sapevano nemmeno loro dove volesse andare a parare e come finire.

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