Disponibile “Mediterranea”, antologia contenente un mio racconto Sword&Sorcery
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E’ disponibile Mediterranea, antologia digitale che contiene dieci racconti di sword and sorcery ambientati nei territori bagnati dal Mare Nostrum in cui potrete trovare i più importanti autori della fantasia eroica italiana come: Donato Altomare, Alessandro Forlani, Enzo Conti, Adriano Monti Buzzetti, Alberto Henriet, Mauro Longo, Andrea Gualchierotti e Lorenzo Camerini, Andrea Berneschi, Francesco Brandoli e Riccardo Brunelli.

Sono presenti anche due apparati critici di saggisti del calibro di: Enrico Santodirocco (autore di Conan La leggenda) e Marco Maculotti (fondatore di AXIS mundi).

L’introduzione e la curatela è affidata a Francesco La Manno, mentre la copertina è stata realizzata da Andrea Piparo.

Per informazioni e l’acquisto (download al modico prezzo di € 5,30): https://hyperborea.live/prodotto/mediterranea/


INDICE

Introduzione:

FANTASIA EROICA MEDITERRANEA di Francesco La Manno

Racconti:

IL PONTE DELLA MORTE di Donato Altomare

IL FIGLIO DI ASTERIONE di Andrea Berneschi

UNA BALLATA DI FUOCO E DI MARE di Francesco Brandoli

SHARDANA di Riccardo Brunelli

IL BANCHETTO di Lorenzo Camerini e Andrea Gualchierotti

PIU’ TENACE DELLA MORTE di Enzo Conti

IL CULTO DEGLI ABISSI di Alessandro Forlani

LA SPADA DI AESKYLOS di Alberto Henriet

L’ARTIGLIO DELLA FENICE NERA di Mauro Longo

GLI OCCHI DI ANGIZIA di Adriano Monti Buzzetti Colella

Saggi:

IL SERVIZIO DIVINO DEI GRECI di Marco Maculotti

LA FANTASIA EROICA MEDITERRANEA NEI FUMETTI di Enrico Santodirocco

Cover_Mediterranea_Web

Abraham Merrit – Il vascello di Ishtar – Recensione
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Finalmente ripubblicato, dopo molti anni di assenza dagli scaffali delle librerie italiane, il romanzo “Il vascello di Ishtar”, di Abraham Merrit, per l’editore Il Palindromo, nella meritevole collana I tre sedili deserti: note e traduzione di Giuseppe Aguanno, introduzione di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, con un saggio di Andrea Scarabelli e illustrazioni di Virgil Finlay.
Specifiche: gennaio 2018, pagg. 472, 15x19cm, bross. b/n, prezzo 26€ – ISBN: 978-88-98447-32-9

La trama, dal sito dell’editore: «John Kenton, appena tornato a New York dall’esperienza devastante della Prima guerra mondiale, riceve uno strano oggetto rinvenuto durante una campagna di scavi in Medio Oriente: un blocco di pietra al cui interno è custodito un piccolo vascello di gemme intagliate. Kenton non lo sa ancora, ma il manufatto è uno stargate, la soglia per un’altra dimensione, un mondo dove il suo coraggio dovrà scontrarsi con l’acciaio delle spade e la potenza di ancestrali divinità in lotta, e in cui ritroverà la voglia di vivere sperimentando la passione di un amore fuori dal tempo. Questo volume contiene la prima versione de Il vascello di Ishtar, pubblicata originariamente nel 1924 e inedita in Italia. Il romanzo è accompagnato dalle illustrazioni originali dell’epoca e da un ricco corredo di apparati critici. Abraham Merritt (1884-1943), maestro del fantastico e noto giornalista, è tra i pionieri e più apprezzati autori di letteratura fantasy. Stimato da H.P. Lovecraft e Clark Ashton Smith, tra le sue opere si ricordano: Il pozzo della luna (1919) e Gli abitatori del miraggio (1932).»

La storia fu originariamente serializzata sulla rivista americana Argosy All-stories, tra il novembre e il dicembre del 1924, in 6 episodi ed ebbe un grandissimo successo, al punto da essere votata come una delle storie più apprezzate dal pubblico ed essere eletta dai lettori nel 1938 come migliore storia della rivista, scalzando il ciclo di Tarzan di Burroughs (come peraltro ben chiarito nell’ottima nota biografica su Merrit in appendice al presente volume e opera della brava Maria Ceraso). Merrit fu un autore molto noto e apprezzato della sua epoca (addirittura una rivista fu battezzata in suo onore: A.Merrit’s fantasy magazine) e seppe ispirare molti grandi Autori (persino il ciclo di Cthulhu di Lovecraft potrebbe avere ricevuto suggestioni da The Moon Pool del 1918 di Merritt).

Ho voluto così introdurre l’Autore, perché ritengo che questo volume sia un tassello fondamentale di un percorso di narrativa fantastica in cui il carisma del suo creatore sicuramente ha influito positivamente. Sarebbe difficile e forse superiore alle mie competenze risalire alla prima opera fantastica in cui via sia un passaggio  tra i mondi, elemento già presente in Virgilio o Dante se circoscritto ai regni ctoni infernali, ma tema sicuramente di grande moda all’inizio del 1900: Il vascello di Ishtar mi ha ricordato alcune atmosfere de “La terra dell’eterna notte” di Hodgson e, per tornare a Burroughs, ha alcune assonanze con il ciclo di Carter di Marte o, persino, per impostazione della trama e intreccio dei personaggi e delle scene, con i fumetti di Flash Gordon.

Kenton, protagonista di questo romanzo, tramite il simulacro del vascello riesce di fatto a trasferirsi in un’altra epoca, quasi un altro mondo, dove persino lo scorrere del tempo è differente: qui recupera un ruolo eroico che nel nostro mondo non aveva. Inizialmente la scena è collocata sul vascello, diviso e separato tra il Prete Nero, Klaneth, tramite e celebrante del Dio della Morte Nergal, rappresentante delle tenebre, e le adoratrici di Ishatar (dea dell’Amore), tra cui la splendida sacerdotessa e tramite Sharane, di cui il protagonista si innamorerà. Kenton, passerà da schiavo a capo di una rivolta che prenderà il controllo della nave, con il passaggio di alcuni personaggi (Jiji e Zubran), inizialmente nemici, tra le file dei buoni, oltre all’amicizia con un altro schiavo (il vichingo Sigurd), tutti grandi comprimari della storia.

La religione e la mitologia sono elementi vivi e vivificanti del romanzo, che spazia dai miti mesopotamici a quelli nordici, creando un interessante intreccio, in cui il ruolo degli dei si affianca a quello dei personaggi, un po’ come nell’epica Omerica o, venendo ad Autori più recenti, nei cicli di Elric e Corum di Moorcock.

Dovremo aspettare gli anni ’70 per recuperare mondi divisi tra più piani (e divinità), come appunto in Moorcock o Zelazny fino al più recente Stephen King della torre nera, ma trovo che raramente – nemmeno tra alcune pagine di quest’ultimo ciclo del maestro dello horror contemporaneo, a tratti veramente immaginifiche – troveremo una più efficace e compiuta descrizione dei mondi paralleli come quella presente in questo romanzo e che vale la pena citare: «Di fronte aveva una vasta nebbia: vapori globulari argen­tei discendevano su di lui; il ventre curvo di un altro mondo. Quel mondo si stava scontrando col suo? No! Vi si stava sovrapponendo! La consapevolezza giunse subitanea e fugace: in quella minima frazione di tempo gli si manifestò come un’illuminan­te intuizione, sola chiave verso l’inesplicabile. Grazie ai lumi di questa rivelazione, Kenton vide la pro­pria Terra non per quello che sembra, ma per ciò che è: una vibrazione eterica negli intervalli tra le pulsazioni elettroniche di mondi su mondi che si intersecano, mondi originati dalla forza primigenia di cui queste vibrazioni sono espressione, nelle forme a noi note e in quelle che ignoriamo. Si figurò questi mondi e il proprio come un ammasso di elettroni: in verità ognuno di essi era piuttosto lontano dai propri simili, così come i pianeti, ben distanti l’uno dall’altro e dal sole. Attraverso gli abissi dello spazio, tra queste particelle, vide miriadi di congerie affini suddivise in globi nascosti e invisibili: ciascuno orbitava roteando senza inter­ferire con gli altri, eppure questi si incontravano, si compe­netravano, intrecciandosi. Mondi che si incrociavano secondo frequenze differenti, più alte o più basse, nella totale inconsapevolezza di queste tangenze. Mondi che si muovevano attorno e attraverso di noi, che si trovavano a coincidere in modo casuale, come segnali radio intercettati da un apparecchio non sintonizzato. Mondi sovrapposti come flussi di informazioni che, senza interferire l’uno con l’altro, scorrevano insieme sullo stesso cavo, grazie alla diversità delle vibrazioni. Il vascello di Ishtar navigava su uno di questi mondi paralleli. Il gioiello di gemme non era l’imbarcazione stessa, bensì una chiave capace di aprire un passaggio dalla dimensione d­i Kenton verso quella del vascello: un dispositivo che adattava le vibrazioni materiche del suo corpo a quelle del mondo della nave

Dopo la parte di trama sul vascello, e prima della conclusione – affatto scontata – della storia nella medesima sede, ecco che un’altra parte del romanzo si sposta sull’Isola di Emakhtila, dove accanto a nuovi personaggi, abbiamo alcune delle parti più evocative dell’opera, con toni aulici tali da ricordare quasi antichi poemi o testi sacri: come accennavo, il ruolo della mitologia è fondamentale in quest’opera, senza diventare pesante. Se ne ricava la profonda, davvero magistrale conoscenza di Merrit per la materia, che l’Autore tratta con completezza, rendendo appunto mito e divinità essenziali alla storia e alla trama stessa, in un modo che forse segna davvero il passaggio epocale del fantasy, per cui mi spingo a definire questo volume un tassello fondamentale del genere. Dopo Merrit, ci vorrà molto tempo prima che gli dei tornino a essere talmente rilevanti nell’immaginario, o perché partoriti direttamente da un mitopoieta dello spessore di Tolkien, oppure perché giovani autori, a partire da Zelazny appunto fino a un Gaiman odierno, sappiano recuperare il fascino che un intreccio tra vera mitologia antica e fantastico contemporaneo possano portare: ciò che oggi ha dato vita al genere urban fantasy, in nucleo già anticipato anche dal capolavoro Malpertuis di Jean Ray.

La storia è ben realizzata, alternando scene più poetiche e visionarie a numerosi duelli e battaglie, persino navali, caratterizzate da grande ingenio e descrizioni a tratti quasi macabre e gore.

Non posso che consigliarne la lettura agli amanti del fantasy e dell’epica, con il lieve avvertimento di prepararsi a un testo dallo stile ovviamente di inizio ‘900, che però non dovrebbe appunto stonare ai veri lettori del genere, che appunto avranno sicuramente dimestichezza con i capisaldi, tutti circa di questo periodo.

Una nota finale sull’edizione: di grande qualità, raccoglie le splendide illustrazioni di Finlay (vero maestro dei pulp anni ’30), e fornisce anche i vari apparati critici già menzionati. Ottimo il glossario dei termini mitologici, utile a una migliore comprensione del testo, e liminale l’introduzione di spessore di due Maestri come De Turris e Fusco. Ma soprattutto voglio plaudere all’ennesimo contributo di Andrea Scarabelli che, nonostante la giovane età, oggi si presenta sul panorama letterario italiano come forse il solo e più sapiente dei saggisti ESOTERICI, nel senso più aulico e accademico del termine. Nel suo mysterium coniunctionis riesce a recuperare il valore magico delle parole, per passare a trattare di narrativa fantastica fino a spingersi a spiegare (con citazioni di Autori di ambito filosofico e antropologico, assai più sapienziale del “banale” genere fantastico) temi come l’eterotopia, la ierogamia e la teogamia, facendoci riflettere sul vero significato del fantasy che, non a caso, viene chiamato in altri Paesi come Speculative fiction. Perché cos’è il fantastico se non il modo moderno di rappresentare miti Platonici, idee e archetipi, antichi come il tempo e l’inconscio umano?

KING ARTHUR – RECENSIONE
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Mercoledì con cinema a 2 euro e uscita nelle sale di King Arthur: potevo non vederlo e farvi avere un commento? NO!

Siamo di fronte all’ennesimo film che reinventa il mito di Re Artù, di fatto con una storia che non c’entra quasi nulla con il mito originale, salvo prendere in prestito dei nomi e vagamente dei topoi narrativi (in primis la spada).

Il film, sicuramente un fantasy, è nondimeno il tipico film di Guy Ritchie, che ne mescola i suoi classici stili, con gag comiche, scenette ricche di flashback e uno stile da “gang da strada” abbastanza pulp e contemporaneo, tutti elementi che peraltro annullano totalmente la fedeltà storica del film.

Del resto, molti attori e personaggi sono neri o asiatici: elemento che sicuramente aumenta la contemporaneità e la “correttezza politica” del film, ma che maggiormente stride con una realtà storica in cui di certo queste etnie erano minoranze, sempre che ci fossero nella Bretagna dei primi secoli!

Il film inizia con alcune brevi frasi scritte che ci introducono nella trama: dopo circa 20 secondi, pertanto, riceviamo la dichiarazione ufficiale che il film è una VACCATA. Ritchie si è divertito a pisciare su Sherlock Holmes (peraltro con un paio di film molto piacevoli e che comunque centravano lo spirito di fondo del personaggio); ha pensato bene questa volta di procedere direttamente con carichi pesanti, scaricando chili di feci sul mito Arturiano.

Se si vuole buttare via subito qualsiasi pregiudizio o desiderio di fedeltà, allora è possibile procedere con il film, che peraltro è un fantasy piacevole e ben realizzato: scocciava tanto inventare una storia originale o non avrebbe attirato pubblico senza il nome altisonante o ancora si temeva che i riferimenti fossero troppo evidenti?

VISIVAMENTE il film è bellissimo. Bellissimi gli scenari e affascinanti i costumi, per quanto storicamente assurdi e molto simili a capi di alta sartoria contemporanea. Ottime anche le musiche, sempre eccellenti nei film di Ritchie.

Arthur è anche fin troppo spavaldo per i miei gusti: ridicolo il modo in cui cammina da vero gangster trascinando la spada con la punta a terra, in uno scoppiettio di scintille… Tanto è Excalibur, mica si rovina il filo, no?!

Comunque, ciò chiarito, per proseguire devo necessariamente fare una serie di minimi SPOILER perché altrimenti è impossibile parlare oltre di questo film.

Ripeto. Seguono possibili SPOILER.

Jude Law è Vortigern, per l’occasione diventato fratello di Uther Pendragon. Pratica la magia, su una torre che edifica per avere potere e su cui campeggiano spesso delle fiamme che richiamano molto l’occhio di Sauron del Signore degli Anelli (visivamente richiamato in molte, troppe, scene, anche con aquile e olif…ehm, elefanti giganti). Nella cantina allagata tiene la strega Ursula de La Sirenetta, progenie di Cthulhu, che gli da poteri magici capaci di trasformarlo in un clone del Death Dealer di Frazetta.

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Arthur estrae la spada dalla roccia e quindi diventa capace di combattere a velocità e forza supersoniche: quando impugna la spada, con un effetto molto simile a quando Frodo indossa l’anello nei film di Jackson, di fatto va a una velocità che manco Neo in Matrix gli starebbe dietro e può seccare 40 nemici in 30 secondi.

Arthur, a capo di una banda di malviventi in tipico stile Ritchie, che ricorda molto Robin Hood, si rifugia quindi con i pochi maghi rimasti (fra cui una Maga – Morgana? – che controlla animali, uccelli e serpenti, che pare uscita da Naruto) nella loro tana nella foresta di Sherwood (o in un posto molto simile), dove uno degli attori più noti de Il trono di spade (Dito Corto) impersona un alter ego proprio di Hood, visto che scaglia frecce a 175 m di distanza a occhio nudo, senza mancare un bersaglio.

In questa bella accozzaglia di roba rubata a casaccio da qualsiasi fantasy vi venga in mente, ecco che in pratica Arthur si pone a capo dei ribelli per sconfiggere Darth Vortigern… Il resto ve lo lascio immaginare e/o vedere al cinema.

Botte da orbi, mostri e duelli in pieno stile videogame… Un maestro di Arti marziali cinese che chiaramente allena Arthur fin da bambino, rendendolo meglio di Chuck Norris… Strizzata d’occhio finale che ci fa intravedere la tavola rotonda, promettendoci forse futuri seguiti di cui, francamente, non sentiamo troppo il bisogno (specie se avremo Merlino impersonato da Samuel Jackson, che allo stato mi pare lo scenario più probabile).

Insomma… Una porcata che però, tutto sommato, costituisce un film che si può gustare per due ore senza troppe pretese, ma che ci porta lontanissimi dal capolavoro che fu Excalibur di Boorman nel 1981. Consiglio di recuperare quella vecchia pellicola a chi ancora non la conosca e sfruttare così meglio quelle due ore di tempo.

J.R.R. Tolkien – La storia di Kullervo – Recensione
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Recentemente uscita da Bompiani l’edizione italiana de “La storia di Kullervo”, nuovo inedito Tolkieniano ispirato dal Kalevala: «Il Kalevala è un poema epico composto da Elias Lönnrot nella metà dell’Ottocento, sulla base di poemi e canti popolari della Finlandia. Lönnrot assemblò e ricostruì la memoria storica delle genti finniche attraverso la massa dei canti prodotti dalla loro poesia tradizionale, riunendone in una sola opera la cosmogonia iniziale e il ciclo eroico/mitologico. La storia di Kullervo è strutturata in runi (capitoli), dal 31 al 36 del Kalevala» (Fonte Wikipedia).

Il volume di Bompiani, di circa 272 pagine (€ 19,00), presenta principalmente il testo della storia di Kullervo nella versione riscritta da Tolkien, purtroppo parzialmente incompleta (il finale è riassunto in pochi appunti mai sviluppati). Il testo è seguito da note e commenti, da un saggio (in duplice versione) dello stesso Tolkien sul Kalevala e da un saggio conclusivo su Tolkien, il Kalevala e la storia di Kullervo della curatrice del libro, la studiosa Verlyn Flieger. I soli testi di Tolkien, in questa edizione, sono presentati anche in versione originale, con testo inglese a fronte. L’immagine di copertina è un disegno originale sempre di Tolkien.

kullervo

La sinossi del libro Bompiani delinea brevemente, ma efficacemente, la trama: «Kullervo figlio di Kalervo è forse il personaggio più oscuro e tragico di Tolkien. “L’infelice Kullervo”, come lo definisce Tolkien stesso, è uno sfortunato orfano dotato di poteri sovrumani e avviato a un tragico destino. Cresciuto nella casa dell’oscuro mago Untamo, che ha ucciso suo padre, rapito sua madre e che per tre volte ha cercato di ucciderlo quando era ancora un bambino, Kullervo non ha nulla al mondo se non l’amore della sorella gemella, Wanona, e la protezione di Musti, un cane nero dai poteri magici. Quando viene venduto come schiavo, il ragazzo giura di vendicarsi del mago. Tolkien scrisse che La Storia di Kullervo era il suo tentativo di creare una leggenda originale, oltre che un nodo importante nelle vicende della Prima Era: Kullervo infatti è antenato di Túrin Turambar, l’eroe tragico e incestuoso del Silmarillion. Con la sua potenza narrativa autonoma, La Storia di Kullervo è un tassello fondamentale nella struttura del mondo creato da Tolkien, e viene qui pubblicata per la prima volta con annotazioni, saggi e altri materiali sull’opera che ha ispirato l’autore, il Kalevala.»

Innanzitutto la storia, come già accaduto per Sigurd o Arthur, è l’esperimento incompiuto di un giovane Tolkien di riscrivere (tra il 1912 e il 1916) un testo epico che lo aveva molto colpito e influenzato: erano i primi tentativi del futuro creatore di Arda di cimentarsi con la scrittura di componimenti epici e magici. Sono molti gli influssi che avrebbe poi sviluppato nella sua poetica, a partire dai nomi, che mutano spesso nel corso del testo, dimostrano l’evoluzione di personaggi che nascono tratti dal poema originale per sviluppare proprie peculiarità, al punto da reclamare un nome nuovo e autonomo. Sono evidenti le radici che avrebbero poi portato ai nomi di personaggi e dei dello stesso Tolkien e, forse, alcuni accenni si ricollegano proprio alla prima creazione della lingua elfica Quenya (nel libro scritto Qenya – che non ho chiaro se sia un errore di Bompiani, perchè ho sempre visto scritto Quenya).

Ancora, centrale, è il tema [segue SPOILER!] dell’incesto frutto di errore dovuto a magia o maledizione, che porta al tragico suicidio dei personaggi: verso la conclusione dell’opera il protagonista si unisce alla sorella, senza sapere chi sia, come poi accadrà anche nella storia di Túrin (sia nella recente versione autonoma, sia in quella raccolta nel Silmarillion o nei volumi della History).

La storia dovrebbe precedere brevemente il sorgere vero e proprio dell’amore tra Tolkien e sua moglie Edith Bratt e, forse, questo elemento è ben visibile nell’amore tra Kullervo e sua sorella, che nasce sostanzialmente come una violenza: mi viene da ipotizzare che in questa fase della sua vita Tolkien fosse ancora acerbo, pronto a descrivere personaggi “malvagi” e privo di certi lirismi romantici che, invece, avrebbero poi caratterizzato i grandi amori delle sue trame (e il suo matrimonio).

Kullervo ha i tratti del “pastore di lupi” della mitologia nordica e la sua figura costituisce sostanzialmente un Ulfhedinn/Berserk, il guerriero invincibile e invasato da Odino, costituendo ancora un antesignano del Beorn de Lo Hobbit.

Indubbiamente è il libro più amaro tra quelli letti del Professore. Kullervo è un anti-eroe: un personaggio rozzo, malvagio, crudele, rabbioso; deforme e brutto persino nell’aspetto (con accenni quasi razzisti). Il male che scatena e compie, con le sue magie, alla fine [segue SPOILER!] finisce per annientare tutti i personaggi della storia, compreso il meraviglioso cane Musti/Mauri, fino al suicidio dello stesso Kullervo. Sono rari i personaggi così oscuri tra gli eroi di Tolkien e, anzi, Kullervo è il primo e unico ad apparire in una versione così pura, ma al contempo sempre in bilico tra l’essere il buono o il malvagio della storia…

La prova letteraria, invece, è molto valida: mai, forse, come in questo testo, Tolkien riscrive l’epica con una forma che richiama, nel sapore, l’epica stessa originale, senza tuttavia rendere il testo eccessivamente pesante (la lettura scorre godibile). La traduzione è buona, contando che il testo a fronte è spesso ricco di arcaismi e parole di derivazione finnica. Nel testo sono presenti elementi di magia (dal sapore persino orientale, come i peli del cane Musti), canzoni/preghiere, figure poetiche rurali (quasi delle kenningar moderne).

Il libro costituisce un nuovo interessante tassello del panorama di questo grande Autore e ne consiglio la lettura sia agli amanti di Tolkien che a quelli dell’epica in generale.

Una piccola nota: attenzione perché, nonostante il libro sia uscito a marzo 2016, immediatamente sono state diffuse due edizioni: prima e seconda ristampa, entrambe del marzo 2016, che circolano allegramente assieme, sparse tra librerie e stores on-line. Se siete collezionisti di prime edizioni, controllate bene la pagina dei crediti e diritti.