I RACCONTI DI DAGON – Dagon Press
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Torna la grande narrativa Lovecraftiana, in una antologia Dagon Press, dal titolo “I RACCONTI DI DAGON: 16 storie lovecraftiane” a cura di Pietro Guarriello (e con introduzione di Fabio Calabrese).

Il volume contiene anche il mio racconto “La pietra grigia”, già apparso in Italia nel solo formato digitale col titolo “La pietra” (quindi questa è un’ottima occasione di prenderlo e leggerlo in un formato materiale, piacevole e resistente nel tempo) e tradotto in Francia – in solo formato cartaceo – con il titolo “La pierre”, sulla prestigiosa rivista Gandahar (N. 7; L’Enfer sur terre, a cura di Jean-Pierre Fontana).

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H.P. Lovecraft – Teoria dell’orrore – Recensione
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Questa è la 6a parte della disamina completa dei testi di Lovecraft attualmente in commercio in Italia: non una bibliografia completa, di materiale fuori catalogo o collezionistico, solo in parte citato, ma una selezione di ciò che oggi si può facilmente trovare in commercio e che, francamente, rende inutile e dispendioso cercare materiale più vecchio fuori catalogo (salvo intenti collezionistici o antiquari).

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Segnalazione editoriale: La contessa di Marco Spelgatti
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Novità editoriale. La contessa di Marco Spelgatti, Gonzo Editore

In uscita il 26 settembre 2018

Sinossi:

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Arthur Machen – La collina dei sogni – Recensione
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Trama (dal sito Il Palindromo):

Il giovane e introverso Lucian Taylor, emblema del letterato decadente e maledetto, cerca di evadere, attraverso la scrittura, dalla realtà stantia e borghese di un paesino del Galles del XIX secolo.

Gradualmente la dimensione onirica prenderà il sopravvento e il giovane si ritroverà a vivere un’esistenza dissociata, a metà tra un passato mitico, puro e selvaggio e un presente crudele e disumano. L’approdo in una fredda e caotica Londra estrometterà, infine, ogni spiraglio del reale dalle giornate solitarie di Lucian.

Ripubblicato a trent’anni dalla prima edizione italiana, con un’introduzione inedita dello stesso Machen, La collina dei sogni (1907) è un classico della letteratura inglese. Questa è la prima edizione integrale in italiano dell’opera.

Arthur Machen (1863-1947), tra i maggiori letterati inglesi di fine Ottocento, ha condotto il genere fantastico a picchi letterari altissimi.
Considerato un maestro da H.P. Lovecraft e ammirato da Stephen King, tra le sue opere principali ricordiamo Il grande dio Pan (1894) e I tre impostori (1895).
Commento.

Il Palindromo sta recuperando dei testi di grande spessore per la narrativa fantastica nella collana de I tre sedili deserti (che personalmente mi ricordano la triade degli Asi), come Il vascello di Ishtar (di Abraham Merrit già recensito): si tratta di testi complessi, leggibili su più livelli e spesso con spunti esoterici di lettura.

Questa edizione riprende la traduzione (e postfazione) di Claudio De Nardi, ma arricchisce il testo con una prefazione del sempre ineccepibile De Turris e la introduzione originale di Machen all’edizione americana, oltre ad alcune ottime immagini d’epoca (tra cui una illustrazioni di Sime, tanto caro a Lovecraft).

Come anticipato, il testo offre vari livelli di lettura e sicuramente offre un Machen molto diverso dall’autore horror noto e amato.

Un primo livello è quello narrativo: la storia ci offre la breve parentesi di vita del giovane Lucian Taylor, partendo dall’infanzia (quasi un tempo-luogo del sogno e dell’innocenza perduta) nel piccolo paesino di Caermaen, dal peregrinare nei boschi – dove i resti di un antico sito romano aprono la fantasia verso paesaggi onirici e mitici – al fascino del primo amore, forse salvifico e perso per sempre con l’innocenza. Il giovane Taylor scrive un libro e presto viene truffato e plagiato da un editore: altro cunicolo della vita che conduce a un percorso fatale. Lucian si trasferisce in città, a Londra, entrando in contatto con un mondo molto più crudo e duro, perdendosi nel delirio della propria ricerca di un “nuovo capolavoro” che, questa volta, non gli sia rubato. Una durezza, quella cittadina, che c’era anche nel piccolo paese di Caermaen – come attesta un’agghiacciante scena di violenza da parte di alcuni bulli su un cagnolino – che però a Londra sembra quasi esplodere all’eccesso. Lucian si isola nel proprio mondo, fatto di droga, fino a dimenticarsi di un padre che muore senza quasi avere il piacere di salutarlo o rivederlo e, ancora oltre, fino a perdere lui stesso la vita, in quella che è probabilmente la prima morte bohemian per overdose della storia. In questo Machen è precursore, ma di un genere molto diverso da quello che ci aspettiamo, molto più greve e angosciante.

Un secondo livello di lettura è quello visionario: nei sogni della collina (del titolo) e delle antiche rovine, Machen tratteggia il mondo fatato e celtico che tanto gli è caro e caratteristico, mentre nei deliri della droga le visioni si fanno più cupe e grottesche, fino a punte di horror o visioni infernali alla De Quincey, con Sabba di streghe e demoni, quasi in un’eco delle teorie occultiste di Crowley (e della Golden Dawn) e preludio alla dannazione spirituale di chi ha sprecato la sua vita.

Un terzo livello di lettura è quello erotico: dal sentimento purificante e salvifico dell’adolescenza (che quasi avrebbe potuto riscattare e deviare un’intera vita persa), alle perversioni del femminino più conturbante e bruciante (sacro o profano, in un’ambivalenza inscindibile).

Un quarto livello è quello letterario, in cui Machen – attraverso gli esperimenti e gli esercizi narrativi di Lucian – si proietta in un’articolato esame di Autori, Scrittori, stili e modelli, quasi a voler dimostrare di conoscere e saper imitare o persino superare anche i più complessi maestri che lo hanno preceduto, in una sorta di riscatto autoriale personale: schiacciando persino il suo personaggio, sotto il maglio della sua bravura.

Il quinto (e forse ultimo) livello è quello esoterico: in cui la vita stessa diventa un modello alchemico, una grande opera capace di portare alla realizzazione e alla propria elevazione, come il raggiungimento del Sacro Graal per un cavaliere di Avalon (parallelismo a tutta la trama, che sembra quasi perdersi nella mitica isola), laddove il Graal è Spirito, prima che materia. Il vagabondare si trasforma, anche in questa storia (come in molte opere di Machen), in un errare nel (metodo) percorso della vita (ascesi). Un mondo superiore e felice, perfetto e quasi divino, è oltre un labile velo, che sognatori e poeti, quasi dei dervisci moderni, sanno scorgere attraverso le pieghe del reale e (persino) dello squallido.

collana: I tre sedili deserti, 1

note: traduzione di Claudio De Nardi, prefazione di Gianfranco de Turris

aprile 2017, pp. 288

15x19cm, bross.

prezzo 18€

ISBN: 978-88-98447-31-2

Arthur Machen – Un frammento di vita & Il popolo bianco – Recensione
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Edizioni Hypnos ha pubblicato nella collana “Biblioteca dell’Immaginario” (da sempre fra le più ricche di offerte di qualità tra gli autori maestri dello horror) un volume contenente alcune opere di Arthur Machen, fra i maestri del genere weird/horror.

Il volume, nello specifico, contiene Un frammento di vita, Il popolo bianco e Un doppio ritorno (oltre a una bibliografia di Machen).

Dal sito dell’editore (Edizioni Hypnos):

Nelle esplorazioni di Edward Darnell, figlie dei vagabondaggi dell’autore, Londra diventa terra incognita, ricca di incanti, promesse e minacce. Lasciandosi alle spalle la grigia esistenza di impiegato della City, la grettezza della vita quotidiana nei sobborghi, il protagonista parte alla scoperta della vera realtà oltre il mondo materiale, ritrovando i verdi viottoli del Galles nella metropoli, scoprendo il significato autentico dell’eredità nascosta dei suoi padri. La realtà oltre le apparenze, l’esplorazione di mondi sconosciuti ma sempre a portata di mano, i tesori che offrono e i pericoli a cui si espone chi decide di intraprendere il viaggio sono i temi portanti della narrativa di Machen, carica di influenze mistiche e suggestioni legate alla tradizione celtica: Un frammento di vita, pubblicato qui per la prima volta in Italia, e Il popolo bianco, considerato uno dei suoi grandi capolavori, ne sono tra le più importanti testimonianze.

ARTHUR MACHEN (1863-1947), gallese di nascita, è considerato tra i maggiori autori del fantastico, alla pari di Edgar Allan Poe e H.P. Lovecraft. Tra le sue opere più importanti i racconti Il grande dio Pan (1894), definito da Stephen King “forse la miglior storia horror scritta in lingua inglese”, e Il popolo bianco (1904), veri e propri classici della letteratura weird e horror, il romanzo La collina dei sogni(1907) e il ciclo di storie de I tre impostori, definito da Elémire Zolla “un capolavoro circolare”. Arthur Machen fu anche membro della Golden Dawn, a testimonianza della sua continua e instancabile ricerca spirituale.

Il commento.

Voglio analizzare i tre testi singolarmente.

Un frammento di vita in questa pregevole edizione è presente sia nella versione definitiva più nota, ma anche – in appendice A – nella prima versione dello Horlick’s Magazine, di cui è recuperata la prima versione del capitolo IV (quello conclusivo e più importante della storia). Come suggerisce il titolo, questo primo romanzo breve costituisce esattamente “un frammento di vita” matrimoniale, nell’Inghilterra di fine 800, fra i due protagonisti della storia. Per 3/4 buoni della storia, la trama è costituita proprio da scenari domestici, dal menage e dall’economia di una giovane coppia senza troppi soldi, in un paesaggio nostalgico e ammaliante, che fa rimpiangere l’apparente semplicità dei tempi andati. La storia, improvvisamente, sterza però in una nuova dinamica, laddove lo scenario si rivela il pretesto da cui sortire uno straniamento totale del lettore, verso un mondo e un tempo ancora più lontani e alieni, grazie anche a un ricordo dell’infanzia del protagonista che è epifania dell’invisibile e del grottesco, additando a un altro mondo, oltre il velo del nostro… Quel mondo pagano e celtico, ma anche mostruoso e alieno, tanto caro a Machen. Anche il vagabondare del protagonista per Londra rivela quell’ozioso perdersi nello spazio, quasi un percorso alchemico di purificazione e ritorno alle origini, leit motiv dell’Autore. Più pratico e tragico il finale alternativo della prima versione, che in parte perde parte di quella magnificenza e immaginazione che caratterizza la versione definitiva, sebbene sappia maggiormente convincere e dare compiutezza alla storia. Francamente, penso che il finale perfetto sarebbe proprio sorto da una fusione tra le due strutture della trama, mai elaborata da Machen, per quanto noto.

Il popolo bianco è una sorta di lungo monologo o diario, incorniciato dal dialogo tra alcuni personaggi. Personalmente, per quanto questa cornice sia interessante e nel paradosso sappia enucleare un concetto molto interessante (cioè l’effimero ribaltamento degli opposti), ho trovato poco utile questa sezione della storia, che pare più un espediente per offrire il vero nucleo della storia (sebbene il ragionamento di fondo serva proprio a creare la giusta atmosfera, come un sottofondo). In questo diario di una bambina, dal ritmo infantile e un po’ psichico (alla Joyce), si adombra nuovamente l’esistenza di antichi riti e di un altro popolo, fatato (o ancora alieno, con tratti molto affini alla moderna teoria UFO) e sicuramente pagano, che potrebbe essere accanto al nostro, mostruoso e aberrante o – nel ribaltamento degli opposti così “uguali” – persino salvifico e materno. Un testo in pieno stile Machen.

Infine, Un doppio ritorno è un simpatico racconto che, giocando sull’ambiguità o sul’equivoco, sembra quasi adombrare un orrore quasi gotico, in una tragedia”nevrotica” di grande divertissement.

Un frammento di vita – Il popolo bianco, 236 pagg. € 21,90

 9788896952665

Arthur Machen – Il grande dio Pan – Recensione
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LA TRAMA (dal sito dell’editore Adiaphora)

Finalmente, dopo anni di ricerche nel campo delle scienze occulte e dello studio delle funzioni cerebrali, il dottor Raymond è pronto per portare a termine un folle esperimento. Una notte d’estate, assieme all’amico Clarke, che sarà suo testimone, decide di sottoporre la giovane Mary a un intervento chirurgico al cervello per consentirle di sollevare il velo che cela la mostruosa divinità della natura, il Grande Dio Pan. Ciò che la ragazza vede la sconvolgerà per sempre.
Molti anni dopo, in una Londra vittoriana ancora profondamente scossa dagli omicidi di Whitechapel, una catena di inspiegabili suicidi sconvolge le famiglie benestanti del West End, stringendo la città in una morsa di terrore nella quale nessuno può dire chi sarà il prossimo, né quando accadrà.
Soltanto Villiers, appassionato esploratore notturno, il gentiluomo Austin e lo stesso Clarke, segretamente affascinato dall’occulto e dal mistero, sospettano che dietro ai suicidi possa nascondersi un’enigmatica figura femminile. Tra angoscianti testimonianze e onirici peregrinaggi dai sobborghi più ricchi fino ai bassifondi più squallidi di Londra, i tre insoliti investigatori si troveranno dinanzi a un terribile segreto che getta le radici tra le pieghe del tempo, in un passato colmo di suggestione e oscurità.
Il Grande Dio Pan, all’epoca additato come osceno per i contenuti sessuali e lo stile decadente, viene oggi considerato uno dei migliori romanzi gotici dell’orrore di fine Ottocento.

La nuova edizione in Italia di uno dei classici della letteratura gotica, per la prima volta in edizione speciale con testo originale a fronte e una nuova traduzione accompagnata da note critiche e da una postfazione di H.P. Lovecraft.

IL COMMENTO

Il grande Dio Pan è indubbiamente un’opera di grande interesse e valore, almeno limitatamente a quella che si può considerare narrativa di genere (fantastico).

Il romanzo è stato pubblicato per la prima volta nel 1894, cioè sette anni prima del Dracula di Stoker. Se quest’ultimo apre e segna definitivamente l’evoluzione della letteratura fantastica verso le sfumature di un genere horror meno gotico (nel senso classico e pedante del termine) e più visionario e ancestrale, nonché “violento”, è però vero che molte delle cupe e fumose atmosfere della Londra di fine ottocento, ammantata di soprannaturale, sono già presenti nel “Dio Pan”, come già erano apparse e stavano apparendo in altre grandi opere di importanti autori (in primis Stevenson) nonché in una realtà segnata, già a cavallo del 1888, dagli assassini di Jack the ripper e poi da occultisti del calibro di Aleister Crowley (non a caso Machen, dopo la morte della moglie, si era affiliato alla Golden Dawn del celebre occultista).

Il terreno era fertile per la nascita e lo sviluppo di opere narrative cupe e in ciò il “Dio Pan” riesce benissimo: poca azione, ma tanta atmosfera surreale e misteriosa, conturbata dall’aleggiante ed inquietante presenza, costante, di un dio ancestrale e alieno.

Infatti, il “Dio Pan” strizza l’occhio anche alla fantascienza che, sempre in quegli anni, cominciava a evolvere dal proprio embrione: perché Pan non è soltanto un demone incarnato, capace di camminare su questo mondo; è anche una presenza malvagia e perversa che esiste altrove, nell’universo e negli spazi cosmici esterni, capace di violentare il pensiero e l’animo, prima del corpo. È l’abitatore di una realtà da sempre esistente, eppure visibile solo a pochi eletti o sfortunati.

Inutile precisare perché, se queste sono le premesse, il “Dio Pan” (altresì il celtico Nodens) sia stata un’opera capace di impressionare H.P. Lovecraft al punto da essere citata, insieme al suo autore, nelle opere del solitario di Providence. Il “Dio Pan”, infatti, presenta già, in nucleo, molte delle atmosfere e delle idee che caratterizzeranno la successiva opera di Lovecraft, con i suoi orrori antichi e cosmici; è quindi un’opera affascinante e che varrebbe la pena di essere letta, forse, anche solo per questi brevi caratteri.

Questa nuova, affascinante e curata edizione italiana, offre anche la possibilità – in un solo acquisto – di avere il testo a fronte originale di Machen.

 14,00

TITOLO Il Grande Dio Pan
ISBN
 978 88 99593 10 0
USCITA 01/04/2018
GENERE Horror
PAGINE 190

Stephen King + Richard Chizmar – La scatola dei bottoni di Gwendy – Recensione
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LA SCATOLA DEI BOTTONI DI GWENDY, di STEPHEN KING e RICHARD CHIZMAR è un romanzo breve, pubblicato come sempre da Sperling&Kupfer, che rappresenta la prima collaborazione tra il noto Maestro dello horror americano e questo nuovo e promettente Autore, nato come Editore dell’etichetta Cemetery Dance (che da anni propone edizioni speciali e/o limitate di libri di King, così passato dal ruolo editoriale a quello di co-autore, forte di anni di collaborazioni commerciali).

Trama: Che cosa accomuna una ragazza che non si arrende e un seducente uomo in nero? Una cosa preziosa: la scatola dei bottoni di Gwendy. Gwendy Peterson ha dodici anni e vive a Castle Rock, una cittadina piccola e timorata di Dio. È cicciottella e per questo vittima del bullo della scuola, che è riuscito a farla prendere in giro da metà dei compagni. Per sfuggire alla persecuzione, Gwendy corre tutte le mattine sulla Scala del Suicidio (un promontorio sopraelevato che prende il nome da un tragico evento avvenuto anni prima), a costo di arrivare in cima senza fiato. Ha un piano per l’estate: correre tanto da diventare così magra che l’odioso stronzetto non le darà più fastidio. 
Un giorno, mentre boccheggia per riprendere il respiro, Gwendy è sorpresa da una presenza inaspettata: un singolare uomo in nero. Alto, gli occhi azzurri, un lungo pastrano che fa a pugni con la temperatura canicolare, l’uomo si presenta educatamente: è Mr. Farris, e la osserva da un pezzo.
Come tutti i bambini, Gwendy si è sentita mille volte dire di non dare confidenza agli sconosciuti, ma questo sembra davvero speciale, dolce e convincente. E ha un regalo per lei, che è una ragazza tanto coscienziosa e responsabile. Una scatola, la sua scatola. Un bell’oggetto di mogano antico e solido, coperto da una serie di bottoni colorati. Che cosa ottenere premendoli dipende solo da Gwendy. Nel bene e nel male.

Il libro consta di circa 240 pagine, ma inganna: è pubblicato con un formato tale che, anche per l’ampio uso di pagine bianche ed illustrazioni, pare costituire un corposo volume, ma invece è effettivamente composto da un romanzo molto breve – un centinaio di pagine effettive – che si legge in circa due ore nette (francamente, si poteva salvare qualche albero e pubblicare il tutto in un formato meno pomposo, con un prezzo più contenuto).

L’idea alla base del racconto è intrigante e la storia si sviluppa bene, scorrevole, con il classico stile di King, difficile – penso – da distinguere da Chizmar, a prescindere dal reale ed effettivo contributo di entrambi alla storia (quale che sia l’opinione sull’esistenza di ghost-writer per King, sempre più co-autore dei propri volumi).

La storia rappresenta la classica crescita adolescenziale che appare, come tema caro, in molte delle opere di King, collocandosi nell’immaginario paese di Castle Rock che, per geografia e atmosfera, conferma il classico scenario americano del Maine tipico dell’Autore. Come sempre è magistrale e raffinato l’inquadramento psicologico della protagonista, con grande sensibilità verso il genere femminile, mentre appare più piatta e bidimensionale la figura di Mr. Farris, funzionale esclusivamente all’innesco della trama, comunque ben scritta e coinvolgente.

Tuttavia, ritengo che verso il finale il libro perda parte del suo carisma: senza rivelare nulla, posso dire che laddove la trama poteva sorprendere con idee originali, ritroviamo alcuni cliché tipici (e abusati) di King, peraltro abbastanza previsti e prevedibili, che non apportano alcun pregio al libro, anzi sminuendone la portata e conducendo a un finale piatto e scontato, poco soddisfacente.

Un volume che offre molto poco dal punto di vista dello horror e che comunque può costituire un piacevole divertissement di una serata.

Mark Alan Miller – Hellraiser: Il tributo – Recensione
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In contemporanea con gli USA, ecco la prima edizione italiana della novella ‘Hellraiser: The Toll’ (2018), in italiano “Il tributo”, romanzo breve che va a inserirsi nella saga di Hellraiser, ideata da Clive Barker e in questo caso scritta da Mark Alan Miller, dopo il romanzo ‘Schiavi dell’Inferno’ (The Hellbound Heart, 1986) e prima di ‘Vangeli di Sangue’ (The Scarlet Gospels, 2015), tutti pubblicati da Indipendet legions.

Sebbene il libro rappresenti un capitolo a metà tra le altre opere, in buona parte mi pare quasi svolgersi in parallelo con Vangeli di sangue e francamente suggerirei comunque di leggerlo dopo aver letto entrambi gli altri volumi, per meglio poter comprendere alcuni riferimenti che altrimenti rischierebbero, a mio giudizio, di restare un po’ impalpabili, se non dei potenziali spoiler.

In questo romanzo breve (circa 90 pagine, con illustrazioni b/n originali di Clive Barker e, in questa edizione, con una splendida copertina di Daniele Serra, già autore della copertina di Schiavi dell’Inferno) ritroviamo il ben noto personaggio di Pinhead, demone con la testa piena di chiodi dell’Ordine dei Cenobiti, ben noto nell’immaginario anche cinematografico della saga; ma ritroviamo soprattutto il personaggio di Kirsty Cotton, già apparsa nel primo capitolo della storia, cioè nel suddetto Schiavi dell’Inferno.

Il romanzo, risponde alla domanda che molti, forse tutti si ponevano, sul destino di questo personaggio umano e mortale, e la sua attuale posizione rispetto all’Ordine dei Cenobiti, separati dal nostro mondo solo da sottilissimi confini che in un attimo possono frantumarsi, trascinandoci nell’orrore. La trama rivela nuovi dettagli anche su Lemarchand, il mitico creatore delle Configurazioni del Lamento, le scatole capaci di evocare i Cenobiti.

Come atmosfera ed eventi, ma anche nello stile, il romanzo è molto più simile al primo capitolo della saga e più distante dal tono “scanzonato” e avventuroso di Vangeli di Sangue: il libro è comunque scritto bene e si legge in grande scioltezza, essendo sintetico e piacevole… Sul finale non rivelo nulla, ma auspico che questo titolo possa anticipare altri spiragli per nuove evoluzioni della trama, magari in un capitolo che prosegua gli eventi laddove si era chiuso Vangeli di Sangue.

Clive Barker – Vangeli di Sangue – Recensione
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Mentre è stata annunciata la prima edizione italiana della novella ‘Hellraiser: The Toll’ (2018), in italiano “Il tributo”, sequel canonico, ideato da Clive Barker e scritto da Mark Alan Miller, di ‘Schiavi dell’Inferno’ (The Hellbound Heart, 1986) e prequel di ‘Vangeli di Sangue’ (The Scarlet Gospels, 2015), ecco che mi pareva opportuno soffermarmi su una mia personale riflessione in merito proprio a quest’ultimo romanzo, pubblicato in italia sempre da Indipendet legions.

Vangeli di sangue rappresenta l’ultimo (almeno per ora) capitolo della saga di Hellraiser, nota anche per i film omonimi, fortemente incentrata sul personaggio di Pinhead, demone con la testa piena di chiodi, sacerdote del dolore e del piacere, nell’Ordine dei Cenobiti.

Il romanzo, oltre alla presenza di Pinhead, presenta anche un altro personaggio celebre di Barker, il detective dell’occulto Harry D’Amour, apparso in alcune altre opere barkeriane come il 6° vol. dei Libri di sangue e il romanzo Everville.

Il romanzo si apre con una scena a fortissimo impatto splatter, che rappresenta il più compiuto legame dell’opera con l’universo cenobitico e anche con la saga cinematografica.

Poi, la prima parte della storia si incentra proprio sul personaggio del detective D’Amour, ed è sicuramente la parte migliore del romanzo, toccando alcune delle migliori vette in materia di horror moderno e di occultismo. D’Amour è molto amico di una medium cieca, di nome Norma, che fondamentalmente utilizza i propri poteri per aiutare i fantasmi di persone recentemente morte che, nella fretta del trapasso, hanno lasciato alcune questioni in sospeso: coinvolto nel caso di in uno di questi peculiari clienti, D’Amour entra in contatto con la scatola di Lemarchand e con i Cenobiti.

D’Amour è ricoperto di importanti tatuaggi dalle forti valenze occulte e medianiche ed è versato nella conoscenza di incantesimi e cose spiritiche: sono questi gli elementi che sviluppano un personaggio incredibilmente solido e che rendono così intrigante e pregevole questa parte del romanzo. La sospensione dell’incredulità nel lettore opera sapientemente, proprio perché l’intero sistema di leggi che regolano il mondo spiritico, in contatto con il nostro, è strutturato con una coerenza e una abilità di rara qualità.

Entrando in contatto con Pinhead, però, la trama prenderà una piega e un taglio molto diversi: ne deriverà la spedizione di un manipolo di eroi, capitanati proprio da D’Amour, in una discesa nelle viscere dell’Inferno (dalle forti assonanze con il viaggio Dantesco), attraverso la città dei dannati e il monastero dei cenobiti, incontrando tribù di demoni e creature abissali, fino alla cattedrale di Lucifero, dove l’Angelo Caduto attende ancora… Fino allo scontro finale tra le due creature archetipali: il demone cenobita Pinhead e proprio Lucifero.

Questa parte del romanzo, che sfocia in duelli molto violenti, ha una struttura che ricorda più il fantasy che lo horror e, appunto, rappresenta una sferzata sensibile rispetto alla prima parte del romanzo, francamente forse deludendo un po’: la trama riceve sviluppi molto d’azione, anche banali se vogliamo, allontanandosi da quel complesso di teorie occulte che invece inizialmente ammaliava tanto e prometteva troppo… Nonostante il finale del libro sia affatto scontato o banale, anzi… Ma non rivelo troppo!

Lo stile di Barker è come sempre egregio e i dialoghi sono sempre ben strutturati e funzionali alla narrazione.

L’edizione è ben curata nonostante il carattere sia lievemente piccolo e la tipologia di stampa non sia eccelsa (la copertina è molto sottile) e potrebbe invogliare ad acquistare l’edizione di lusso, in edizione numerata e limitata, caratterizzata da carta di qualità, rilegatura e immagini esclusive.

vangeli sangue

E.G. Swain – Gli spettri della chiesa di Stoneground – Recensione
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Ho già avuto il piacere di parlare della Providence Press (con cui ho avuto il piacere di collaborare per il già esaurito primo numero della rivista Providence Tales) in varie occasioni: sia parlando del volume dedicato a Harrison, il detective di R.E. Howard, sia per l’antologia del sorprendente William Chambers Morrow, Il creatore di Mostri, ed ecco che nella stessa collana Silver Key arriva un terzo volume; la sola antologia rimasta di E.G. Swain – per suo espresso volere di oblio su altre opere – appartenente al filone delle storie di fantasmi inglesi.

Swain, infatti, amico di M.R. James (a cui dedica l’antologia), ha raccolto in questo volume l’eredità dell’amico, realizzando 9 storie di fantasmi davvero sorprendenti e originali: se James è fra gli indiscussi Maestri del genere – ricordato anche da Lovecraft – ecco che Swain non ha molto da invidiargli, sapendoci offrire delle storie dalle atmosfere davvero credibili e inquietanti.

Dal sito dell’editore: Roland Batchel è il vicario dello sperduto villaggio di Stoneground. È un amabile gentiluomo, appassionato di libri e antiquariato. Ma Stoneground è infestata da misteriose apparizioni sovrannaturali e toccherà al mite reverendo indagare sulla natura di questi fenomeni. Venite anche voi a Stoneground, per un viaggio nel passato con la grande tradizione inglese delle storie di fantasmi.

Il volume contiene il saggio introduttivo C’era una volta un vicario che abitava a Stoneground: la ghost story secondo il reverendo E.G. Swain di Giacomo Ortolani, come sempre ottimo, e nove racconti: L’uomo con il rullo; Ossa alle ossa; La famiglia Richpin; La finestra a oriente; Lubrietta; Il giardino di rocce; Il paralume indiano; Il luogo sicuro; Lo spettro della chiesa.

Caratteristiche del volume: brossurato 14,8×21; 160 pagine; euro 14,90.

Ottima la grafica e la fattura, come sempre per questo editore.

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Ho letteralmente divorato questo volume, che trovo spettacolare, perché ho apprezzato sia lo stile, molto piacevole, sia la descrizione delle scene, con atmosfere davvero inquietanti, ma anche la coerenza e credibilità con cui è trattato il tema degli spettri e revenants (o apparizioni extracorporee), nonché il modo in cui il Vicario li sa affrontare. Altre parti dei racconti, invece, hanno una vena ironica davvero coinvolgente e divertente, al punto da saper stemperare i racconti con risate e leggiadria (memorabile il personaggio di Wardle).

Batchel non è un vero detective del sovrannaturale e questi racconti raramente si abbandonano a banale gore: si tratta invece di racconti in cui l’atmosfera è fondamentale e in cui l’elemento del sovrannaturale giunge a sovvertire le regole della normalità, a volte in senso negativo, a volte persino positivamente, con la posizione del Vicario – appassionato d’antiquariato di grande pacatezza – che si trova a saperne comprendere e gestire le intime regole.

In generale, anzi, non manca quasi un alone di Provvidenza divina nella posizione del Vicario e/o delle entità con cui egli si trova a confrontarsi, in un senso escatologico non molto frequente, anzi quasi assente, in molte altre opere del genere, con una importante eccezione: molte atmosfere di questi racconti, più di altri, infatti, mi hanno ricordato certe storie del Carnacki di Hodgson, al punto da interrogarmi sui possibili contatti tra questi due Autori, almeno a livello di reciproca lettura…

Francamente poche volte, in vita mia, mi sono trovato a leggere un testo senza sapere cosa attendermi e ritrovarmi così soddisfatto dalla scoperta: davvero un recupero di un Autore, quasi assente in Italiano, che merita un encomio e che porrei a fianco a proposte come quelle di L.A. Lewis o L.E. White.

Servirebbe maggiore riscoperta di simili testi in Italia e sono certo che Providence Tales saprà proseguire in questo senso, come lasciano presagire le anticipazioni per il 2018 che riporto di seguito.

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In conclusione non posso che suggerire a tutti di acquistare e leggere questo libro, adattissimo a questo periodo dell’anno: accomodatevi sul divano, davanti a un bel camino acceso e immergetevi nelle atmosfere di Stoneground, ispirata alla reale Stanground di cui Swain fu realmente Vicario, come il suo fantastico personaggio.

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Foto della chiesa © Copyright Dave Hitchborne

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