Robert E. Howard – Kirby O’Donnell (Ed. Deluxe) – Recensione
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Ho già avuto occasione di parlare della Providence Press (con cui ho avuto il piacere di collaborare per il primo numero della rivista Providence Tales) e, in particolare, di un altro volume di questo editore dedicato a Steve Harrison, il detective di R.E. Howard.

Recentemente è uscito proprio un nuovo volume del prolifico autore texano R.E. Howard: si tratta della raccolta di racconti del personaggio, inedito in Italia, del cercatore di tesori Kirby O’Donnell. Il volume è uscito sia in edizione in brossura (192 pagine a euro 17,90), sia in una edizione di lusso, a tiratura limitata e numerata di sole 79 copie (al prezzo di € 39,00), rilegata in tela, con sovra-copertina a colori, segnalibro in filo di seta e un inserto a colori, con altre copertine dedicate al personaggio in altre edizioni/lingue e illustrazioni di vari artisti (splendida la immagine di copertina di Iosif Chezan).

Il contenuto differisce, perché l’edizione di lusso, oltre al ciclo completo di O’Donnell che conferisce titolo al volume, contiene anche il mini-ciclo di Lal Singh, comprimario della saga di El Borak (di prossima pubblicazione da parte sempre di Providence Press), di cui questa edizione limitata contiene il ciclo completo dei racconti in solitaria (sempre inediti in Italia).

Il contenuto del volume quindi è il seguente:

I racconti:
La Pista del Dio Insaguinato

L’Oro dei Tatari
Spade di Shahrazar
Incipit originale di Spade di Shahrazar (frammento)
Il saggio introduttivo:
Kirby O’Donnell, il Grande Gioco di un cacciatore di tesori di Giacomo Ortolani.
E il Glossario linguistico, storico e geografico.

contenuti EXTRA esclusivi dell’edizione Deluxe sono:

Il ciclo completo di Lal Singh, sempre ad opera di Robert E. Howard, con i seguenti racconti:
La Storia dell’Anello del Raja
Le Nuove Avventure di Lal Singh (frammento)
Lal Singh Gentiluomo Orientale
La Spada di Lal Singh (poesia)
Il saggio introduttivo:
Lal Singh di Lahore, guerriero e gentiluomo di Giacomo Ortolani.
Inserto a colori con le copertine delle edizioni internazionali che hanno presentato, a partire dagli anni ’30, le avventure di Kirby O’Donnell.

Ovviamente parlerò dell’edizione deluxe, sia perché più completa, sia perché consigliata.

Entrambi i personaggi sono avventurieri di grande realismo: questi cicli non sono fantastici, sebbene a tratti, soprattutto nelle storie di O’Donnell, vi siano atmosfere o scene che suggeriscono o ricordano l’Howard più weird e stregonesco (La Pista del Dio Insanguinato avrebbe avuto quasi tutti gli elementi per poter diventare una perfetta storia di Conan il Barbaro).

Tuttavia, sono dei personaggi pulp di grande spessore, che regalano momenti di grande azione e coinvolgono, quasi rapiscono, nelle loro avventure, che scorrono divorando le pagine: O’Donnell, per molti elementi – tanto del personaggio, quanto delle situazioni – ricorda moltissimo il personaggio cinematografico di Indiana Jones, al punto che mi sono chiesto se possa essere stato un modello per l’eroe di celluloide. Per certi versi mi ha ricordato anche il nostrano Tex Willer e sicuramente, in queste storie, troviamo l’elemento dei proiettili e delle armi da fuoco, con ricche sparatorie, che rappresentano un altro modo di conoscere lo stile di Howard, che nei suoi cicli più noti non prevede le armi da fuoco ontologicamente.

Peculiare anche, come rilevato da Ortolani per primo, che un racconto e il frammento di Lal Singh siano scritti con un Io narrante in prima persona, altro elemento rarissimo, forse unico, per lo stile di Howard. Circa questo secondo personaggio, ci troviamo dinnanzi a storie dal tenore similare alle prime, ma meno epiche di quelle di O’Donnell. In Lal Singh, invece, svettano l’ironia e l’intreccio quasi da commedia che contraddistinguono le avventure di questo vigoroso Sikh, ladro e truffatore, quasi un Lupin orientale… Il solo così intelligente da saper ingannare persino Marendra Mujerki, altro personaggio di cui sappiamo troppo poco e che, specie il frammento, ci lascia con la voglia inappagata di incontrare ancora in altre incredibili avventure…

Come sempre sono ottimi anche gli apparati redazionali, ricchi di foto d’epoca, e curati dal sempre eccellente Giacomo Ortolani, che firma anche un glossario dei numerosi termini stranieri che compaiono nel testo e che rappresenta una bussola davvero preziosa nell’ermeneutica di un testo che, nonostante questi vocaboli ricercati (impressionanti per un americano come Howard dei primi del ‘900) in alcun modo vede inficiata la scorrevolezza e godibilità del testo, sempre molto dinamico come solo Howard sa essere.

Per dettagli:

Pulp Fiction Deluxe

 

Libro Kirby O’Donnell Cacciatore di Tesori

 

Clive Barker – Vangeli di Sangue – Recensione
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Mentre è stata annunciata la prima edizione italiana della novella ‘Hellraiser: The Toll’ (2018), in italiano “Il tributo”, sequel canonico, ideato da Clive Barker e scritto da Mark Alan Miller, di ‘Schiavi dell’Inferno’ (The Hellbound Heart, 1986) e prequel di ‘Vangeli di Sangue’ (The Scarlet Gospels, 2015), ecco che mi pareva opportuno soffermarmi su una mia personale riflessione in merito proprio a quest’ultimo romanzo, pubblicato in italia sempre da Indipendet legions.

Vangeli di sangue rappresenta l’ultimo (almeno per ora) capitolo della saga di Hellraiser, nota anche per i film omonimi, fortemente incentrata sul personaggio di Pinhead, demone con la testa piena di chiodi, sacerdote del dolore e del piacere, nell’Ordine dei Cenobiti.

Il romanzo, oltre alla presenza di Pinhead, presenta anche un altro personaggio celebre di Barker, il detective dell’occulto Harry D’Amour, apparso in alcune altre opere barkeriane come il 6° vol. dei Libri di sangue e il romanzo Everville.

Il romanzo si apre con una scena a fortissimo impatto splatter, che rappresenta il più compiuto legame dell’opera con l’universo cenobitico e anche con la saga cinematografica.

Poi, la prima parte della storia si incentra proprio sul personaggio del detective D’Amour, ed è sicuramente la parte migliore del romanzo, toccando alcune delle migliori vette in materia di horror moderno e di occultismo. D’Amour è molto amico di una medium cieca, di nome Norma, che fondamentalmente utilizza i propri poteri per aiutare i fantasmi di persone recentemente morte che, nella fretta del trapasso, hanno lasciato alcune questioni in sospeso: coinvolto nel caso di in uno di questi peculiari clienti, D’Amour entra in contatto con la scatola di Lemarchand e con i Cenobiti.

D’Amour è ricoperto di importanti tatuaggi dalle forti valenze occulte e medianiche ed è versato nella conoscenza di incantesimi e cose spiritiche: sono questi gli elementi che sviluppano un personaggio incredibilmente solido e che rendono così intrigante e pregevole questa parte del romanzo. La sospensione dell’incredulità nel lettore opera sapientemente, proprio perché l’intero sistema di leggi che regolano il mondo spiritico, in contatto con il nostro, è strutturato con una coerenza e una abilità di rara qualità.

Entrando in contatto con Pinhead, però, la trama prenderà una piega e un taglio molto diversi: ne deriverà la spedizione di un manipolo di eroi, capitanati proprio da D’Amour, in una discesa nelle viscere dell’Inferno (dalle forti assonanze con il viaggio Dantesco), attraverso la città dei dannati e il monastero dei cenobiti, incontrando tribù di demoni e creature abissali, fino alla cattedrale di Lucifero, dove l’Angelo Caduto attende ancora… Fino allo scontro finale tra le due creature archetipali: il demone cenobita Pinhead e proprio Lucifero.

Questa parte del romanzo, che sfocia in duelli molto violenti, ha una struttura che ricorda più il fantasy che lo horror e, appunto, rappresenta una sferzata sensibile rispetto alla prima parte del romanzo, francamente forse deludendo un po’: la trama riceve sviluppi molto d’azione, anche banali se vogliamo, allontanandosi da quel complesso di teorie occulte che invece inizialmente ammaliava tanto e prometteva troppo… Nonostante il finale del libro sia affatto scontato o banale, anzi… Ma non rivelo troppo!

Lo stile di Barker è come sempre egregio e i dialoghi sono sempre ben strutturati e funzionali alla narrazione.

L’edizione è ben curata nonostante il carattere sia lievemente piccolo e la tipologia di stampa non sia eccelsa (la copertina è molto sottile) e potrebbe invogliare ad acquistare l’edizione di lusso, in edizione numerata e limitata, caratterizzata da carta di qualità, rilegatura e immagini esclusive.

vangeli sangue

Abraham Merrit – Il vascello di Ishtar – Recensione
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Finalmente ripubblicato, dopo molti anni di assenza dagli scaffali delle librerie italiane, il romanzo “Il vascello di Ishtar”, di Abraham Merrit, per l’editore Il Palindromo, nella meritevole collana I tre sedili deserti: note e traduzione di Giuseppe Aguanno, introduzione di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, con un saggio di Andrea Scarabelli e illustrazioni di Virgil Finlay.
Specifiche: gennaio 2018, pagg. 472, 15x19cm, bross. b/n, prezzo 26€ – ISBN: 978-88-98447-32-9

La trama, dal sito dell’editore: «John Kenton, appena tornato a New York dall’esperienza devastante della Prima guerra mondiale, riceve uno strano oggetto rinvenuto durante una campagna di scavi in Medio Oriente: un blocco di pietra al cui interno è custodito un piccolo vascello di gemme intagliate. Kenton non lo sa ancora, ma il manufatto è uno stargate, la soglia per un’altra dimensione, un mondo dove il suo coraggio dovrà scontrarsi con l’acciaio delle spade e la potenza di ancestrali divinità in lotta, e in cui ritroverà la voglia di vivere sperimentando la passione di un amore fuori dal tempo. Questo volume contiene la prima versione de Il vascello di Ishtar, pubblicata originariamente nel 1924 e inedita in Italia. Il romanzo è accompagnato dalle illustrazioni originali dell’epoca e da un ricco corredo di apparati critici. Abraham Merritt (1884-1943), maestro del fantastico e noto giornalista, è tra i pionieri e più apprezzati autori di letteratura fantasy. Stimato da H.P. Lovecraft e Clark Ashton Smith, tra le sue opere si ricordano: Il pozzo della luna (1919) e Gli abitatori del miraggio (1932).»

La storia fu originariamente serializzata sulla rivista americana Argosy All-stories, tra il novembre e il dicembre del 1924, in 6 episodi ed ebbe un grandissimo successo, al punto da essere votata come una delle storie più apprezzate dal pubblico ed essere eletta dai lettori nel 1938 come migliore storia della rivista, scalzando il ciclo di Tarzan di Burroughs (come peraltro ben chiarito nell’ottima nota biografica su Merrit in appendice al presente volume e opera della brava Maria Ceraso). Merrit fu un autore molto noto e apprezzato della sua epoca (addirittura una rivista fu battezzata in suo onore: A.Merrit’s fantasy magazine) e seppe ispirare molti grandi Autori (persino il ciclo di Cthulhu di Lovecraft potrebbe avere ricevuto suggestioni da The Moon Pool del 1918 di Merritt).

Ho voluto così introdurre l’Autore, perché ritengo che questo volume sia un tassello fondamentale di un percorso di narrativa fantastica in cui il carisma del suo creatore sicuramente ha influito positivamente. Sarebbe difficile e forse superiore alle mie competenze risalire alla prima opera fantastica in cui via sia un passaggio  tra i mondi, elemento già presente in Virgilio o Dante se circoscritto ai regni ctoni infernali, ma tema sicuramente di grande moda all’inizio del 1900: Il vascello di Ishtar mi ha ricordato alcune atmosfere de “La terra dell’eterna notte” di Hodgson e, per tornare a Burroughs, ha alcune assonanze con il ciclo di Carter di Marte o, persino, per impostazione della trama e intreccio dei personaggi e delle scene, con i fumetti di Flash Gordon.

Kenton, protagonista di questo romanzo, tramite il simulacro del vascello riesce di fatto a trasferirsi in un’altra epoca, quasi un altro mondo, dove persino lo scorrere del tempo è differente: qui recupera un ruolo eroico che nel nostro mondo non aveva. Inizialmente la scena è collocata sul vascello, diviso e separato tra il Prete Nero, Klaneth, tramite e celebrante del Dio della Morte Nergal, rappresentante delle tenebre, e le adoratrici di Ishatar (dea dell’Amore), tra cui la splendida sacerdotessa e tramite Sharane, di cui il protagonista si innamorerà. Kenton, passerà da schiavo a capo di una rivolta che prenderà il controllo della nave, con il passaggio di alcuni personaggi (Jiji e Zubran), inizialmente nemici, tra le file dei buoni, oltre all’amicizia con un altro schiavo (il vichingo Sigurd), tutti grandi comprimari della storia.

La religione e la mitologia sono elementi vivi e vivificanti del romanzo, che spazia dai miti mesopotamici a quelli nordici, creando un interessante intreccio, in cui il ruolo degli dei si affianca a quello dei personaggi, un po’ come nell’epica Omerica o, venendo ad Autori più recenti, nei cicli di Elric e Corum di Moorcock.

Dovremo aspettare gli anni ’70 per recuperare mondi divisi tra più piani (e divinità), come appunto in Moorcock o Zelazny fino al più recente Stephen King della torre nera, ma trovo che raramente – nemmeno tra alcune pagine di quest’ultimo ciclo del maestro dello horror contemporaneo, a tratti veramente immaginifiche – troveremo una più efficace e compiuta descrizione dei mondi paralleli come quella presente in questo romanzo e che vale la pena citare: «Di fronte aveva una vasta nebbia: vapori globulari argen­tei discendevano su di lui; il ventre curvo di un altro mondo. Quel mondo si stava scontrando col suo? No! Vi si stava sovrapponendo! La consapevolezza giunse subitanea e fugace: in quella minima frazione di tempo gli si manifestò come un’illuminan­te intuizione, sola chiave verso l’inesplicabile. Grazie ai lumi di questa rivelazione, Kenton vide la pro­pria Terra non per quello che sembra, ma per ciò che è: una vibrazione eterica negli intervalli tra le pulsazioni elettroniche di mondi su mondi che si intersecano, mondi originati dalla forza primigenia di cui queste vibrazioni sono espressione, nelle forme a noi note e in quelle che ignoriamo. Si figurò questi mondi e il proprio come un ammasso di elettroni: in verità ognuno di essi era piuttosto lontano dai propri simili, così come i pianeti, ben distanti l’uno dall’altro e dal sole. Attraverso gli abissi dello spazio, tra queste particelle, vide miriadi di congerie affini suddivise in globi nascosti e invisibili: ciascuno orbitava roteando senza inter­ferire con gli altri, eppure questi si incontravano, si compe­netravano, intrecciandosi. Mondi che si incrociavano secondo frequenze differenti, più alte o più basse, nella totale inconsapevolezza di queste tangenze. Mondi che si muovevano attorno e attraverso di noi, che si trovavano a coincidere in modo casuale, come segnali radio intercettati da un apparecchio non sintonizzato. Mondi sovrapposti come flussi di informazioni che, senza interferire l’uno con l’altro, scorrevano insieme sullo stesso cavo, grazie alla diversità delle vibrazioni. Il vascello di Ishtar navigava su uno di questi mondi paralleli. Il gioiello di gemme non era l’imbarcazione stessa, bensì una chiave capace di aprire un passaggio dalla dimensione d­i Kenton verso quella del vascello: un dispositivo che adattava le vibrazioni materiche del suo corpo a quelle del mondo della nave

Dopo la parte di trama sul vascello, e prima della conclusione – affatto scontata – della storia nella medesima sede, ecco che un’altra parte del romanzo si sposta sull’Isola di Emakhtila, dove accanto a nuovi personaggi, abbiamo alcune delle parti più evocative dell’opera, con toni aulici tali da ricordare quasi antichi poemi o testi sacri: come accennavo, il ruolo della mitologia è fondamentale in quest’opera, senza diventare pesante. Se ne ricava la profonda, davvero magistrale conoscenza di Merrit per la materia, che l’Autore tratta con completezza, rendendo appunto mito e divinità essenziali alla storia e alla trama stessa, in un modo che forse segna davvero il passaggio epocale del fantasy, per cui mi spingo a definire questo volume un tassello fondamentale del genere. Dopo Merrit, ci vorrà molto tempo prima che gli dei tornino a essere talmente rilevanti nell’immaginario, o perché partoriti direttamente da un mitopoieta dello spessore di Tolkien, oppure perché giovani autori, a partire da Zelazny appunto fino a un Gaiman odierno, sappiano recuperare il fascino che un intreccio tra vera mitologia antica e fantastico contemporaneo possano portare: ciò che oggi ha dato vita al genere urban fantasy, in nucleo già anticipato anche dal capolavoro Malpertuis di Jean Ray.

La storia è ben realizzata, alternando scene più poetiche e visionarie a numerosi duelli e battaglie, persino navali, caratterizzate da grande ingenio e descrizioni a tratti quasi macabre e gore.

Non posso che consigliarne la lettura agli amanti del fantasy e dell’epica, con il lieve avvertimento di prepararsi a un testo dallo stile ovviamente di inizio ‘900, che però non dovrebbe appunto stonare ai veri lettori del genere, che appunto avranno sicuramente dimestichezza con i capisaldi, tutti circa di questo periodo.

Una nota finale sull’edizione: di grande qualità, raccoglie le splendide illustrazioni di Finlay (vero maestro dei pulp anni ’30), e fornisce anche i vari apparati critici già menzionati. Ottimo il glossario dei termini mitologici, utile a una migliore comprensione del testo, e liminale l’introduzione di spessore di due Maestri come De Turris e Fusco. Ma soprattutto voglio plaudere all’ennesimo contributo di Andrea Scarabelli che, nonostante la giovane età, oggi si presenta sul panorama letterario italiano come forse il solo e più sapiente dei saggisti ESOTERICI, nel senso più aulico e accademico del termine. Nel suo mysterium coniunctionis riesce a recuperare il valore magico delle parole, per passare a trattare di narrativa fantastica fino a spingersi a spiegare (con citazioni di Autori di ambito filosofico e antropologico, assai più sapienziale del “banale” genere fantastico) temi come l’eterotopia, la ierogamia e la teogamia, facendoci riflettere sul vero significato del fantasy che, non a caso, viene chiamato in altri Paesi come Speculative fiction. Perché cos’è il fantastico se non il modo moderno di rappresentare miti Platonici, idee e archetipi, antichi come il tempo e l’inconscio umano?