Robert E. Howard – Kirby O’Donnell (Ed. Deluxe) – Recensione
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Ho già avuto occasione di parlare della Providence Press (con cui ho avuto il piacere di collaborare per il primo numero della rivista Providence Tales) e, in particolare, di un altro volume di questo editore dedicato a Steve Harrison, il detective di R.E. Howard.

Recentemente è uscito proprio un nuovo volume del prolifico autore texano R.E. Howard: si tratta della raccolta di racconti del personaggio, inedito in Italia, del cercatore di tesori Kirby O’Donnell. Il volume è uscito sia in edizione in brossura (192 pagine a euro 17,90), sia in una edizione di lusso, a tiratura limitata e numerata di sole 79 copie (al prezzo di € 39,00), rilegata in tela, con sovra-copertina a colori, segnalibro in filo di seta e un inserto a colori, con altre copertine dedicate al personaggio in altre edizioni/lingue e illustrazioni di vari artisti (splendida la immagine di copertina di Iosif Chezan).

Il contenuto differisce, perché l’edizione di lusso, oltre al ciclo completo di O’Donnell che conferisce titolo al volume, contiene anche il mini-ciclo di Lal Singh, comprimario della saga di El Borak (di prossima pubblicazione da parte sempre di Providence Press), di cui questa edizione limitata contiene il ciclo completo dei racconti in solitaria (sempre inediti in Italia).

Il contenuto del volume quindi è il seguente:

I racconti:
La Pista del Dio Insaguinato

L’Oro dei Tatari
Spade di Shahrazar
Incipit originale di Spade di Shahrazar (frammento)
Il saggio introduttivo:
Kirby O’Donnell, il Grande Gioco di un cacciatore di tesori di Giacomo Ortolani.
E il Glossario linguistico, storico e geografico.

contenuti EXTRA esclusivi dell’edizione Deluxe sono:

Il ciclo completo di Lal Singh, sempre ad opera di Robert E. Howard, con i seguenti racconti:
La Storia dell’Anello del Raja
Le Nuove Avventure di Lal Singh (frammento)
Lal Singh Gentiluomo Orientale
La Spada di Lal Singh (poesia)
Il saggio introduttivo:
Lal Singh di Lahore, guerriero e gentiluomo di Giacomo Ortolani.
Inserto a colori con le copertine delle edizioni internazionali che hanno presentato, a partire dagli anni ’30, le avventure di Kirby O’Donnell.

Ovviamente parlerò dell’edizione deluxe, sia perché più completa, sia perché consigliata.

Entrambi i personaggi sono avventurieri di grande realismo: questi cicli non sono fantastici, sebbene a tratti, soprattutto nelle storie di O’Donnell, vi siano atmosfere o scene che suggeriscono o ricordano l’Howard più weird e stregonesco (La Pista del Dio Insanguinato avrebbe avuto quasi tutti gli elementi per poter diventare una perfetta storia di Conan il Barbaro).

Tuttavia, sono dei personaggi pulp di grande spessore, che regalano momenti di grande azione e coinvolgono, quasi rapiscono, nelle loro avventure, che scorrono divorando le pagine: O’Donnell, per molti elementi – tanto del personaggio, quanto delle situazioni – ricorda moltissimo il personaggio cinematografico di Indiana Jones, al punto che mi sono chiesto se possa essere stato un modello per l’eroe di celluloide. Per certi versi mi ha ricordato anche il nostrano Tex Willer e sicuramente, in queste storie, troviamo l’elemento dei proiettili e delle armi da fuoco, con ricche sparatorie, che rappresentano un altro modo di conoscere lo stile di Howard, che nei suoi cicli più noti non prevede le armi da fuoco ontologicamente.

Peculiare anche, come rilevato da Ortolani per primo, che un racconto e il frammento di Lal Singh siano scritti con un Io narrante in prima persona, altro elemento rarissimo, forse unico, per lo stile di Howard. Circa questo secondo personaggio, ci troviamo dinnanzi a storie dal tenore similare alle prime, ma meno epiche di quelle di O’Donnell. In Lal Singh, invece, svettano l’ironia e l’intreccio quasi da commedia che contraddistinguono le avventure di questo vigoroso Sikh, ladro e truffatore, quasi un Lupin orientale… Il solo così intelligente da saper ingannare persino Marendra Mujerki, altro personaggio di cui sappiamo troppo poco e che, specie il frammento, ci lascia con la voglia inappagata di incontrare ancora in altre incredibili avventure…

Come sempre sono ottimi anche gli apparati redazionali, ricchi di foto d’epoca, e curati dal sempre eccellente Giacomo Ortolani, che firma anche un glossario dei numerosi termini stranieri che compaiono nel testo e che rappresenta una bussola davvero preziosa nell’ermeneutica di un testo che, nonostante questi vocaboli ricercati (impressionanti per un americano come Howard dei primi del ‘900) in alcun modo vede inficiata la scorrevolezza e godibilità del testo, sempre molto dinamico come solo Howard sa essere.

Per dettagli:

Pulp Fiction Deluxe

 

Libro Kirby O’Donnell Cacciatore di Tesori

 

Clive Barker – Vangeli di Sangue – Recensione
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Mentre è stata annunciata la prima edizione italiana della novella ‘Hellraiser: The Toll’ (2018), in italiano “Il tributo”, sequel canonico, ideato da Clive Barker e scritto da Mark Alan Miller, di ‘Schiavi dell’Inferno’ (The Hellbound Heart, 1986) e prequel di ‘Vangeli di Sangue’ (The Scarlet Gospels, 2015), ecco che mi pareva opportuno soffermarmi su una mia personale riflessione in merito proprio a quest’ultimo romanzo, pubblicato in italia sempre da Indipendet legions.

Vangeli di sangue rappresenta l’ultimo (almeno per ora) capitolo della saga di Hellraiser, nota anche per i film omonimi, fortemente incentrata sul personaggio di Pinhead, demone con la testa piena di chiodi, sacerdote del dolore e del piacere, nell’Ordine dei Cenobiti.

Il romanzo, oltre alla presenza di Pinhead, presenta anche un altro personaggio celebre di Barker, il detective dell’occulto Harry D’Amour, apparso in alcune altre opere barkeriane come il 6° vol. dei Libri di sangue e il romanzo Everville.

Il romanzo si apre con una scena a fortissimo impatto splatter, che rappresenta il più compiuto legame dell’opera con l’universo cenobitico e anche con la saga cinematografica.

Poi, la prima parte della storia si incentra proprio sul personaggio del detective D’Amour, ed è sicuramente la parte migliore del romanzo, toccando alcune delle migliori vette in materia di horror moderno e di occultismo. D’Amour è molto amico di una medium cieca, di nome Norma, che fondamentalmente utilizza i propri poteri per aiutare i fantasmi di persone recentemente morte che, nella fretta del trapasso, hanno lasciato alcune questioni in sospeso: coinvolto nel caso di in uno di questi peculiari clienti, D’Amour entra in contatto con la scatola di Lemarchand e con i Cenobiti.

D’Amour è ricoperto di importanti tatuaggi dalle forti valenze occulte e medianiche ed è versato nella conoscenza di incantesimi e cose spiritiche: sono questi gli elementi che sviluppano un personaggio incredibilmente solido e che rendono così intrigante e pregevole questa parte del romanzo. La sospensione dell’incredulità nel lettore opera sapientemente, proprio perché l’intero sistema di leggi che regolano il mondo spiritico, in contatto con il nostro, è strutturato con una coerenza e una abilità di rara qualità.

Entrando in contatto con Pinhead, però, la trama prenderà una piega e un taglio molto diversi: ne deriverà la spedizione di un manipolo di eroi, capitanati proprio da D’Amour, in una discesa nelle viscere dell’Inferno (dalle forti assonanze con il viaggio Dantesco), attraverso la città dei dannati e il monastero dei cenobiti, incontrando tribù di demoni e creature abissali, fino alla cattedrale di Lucifero, dove l’Angelo Caduto attende ancora… Fino allo scontro finale tra le due creature archetipali: il demone cenobita Pinhead e proprio Lucifero.

Questa parte del romanzo, che sfocia in duelli molto violenti, ha una struttura che ricorda più il fantasy che lo horror e, appunto, rappresenta una sferzata sensibile rispetto alla prima parte del romanzo, francamente forse deludendo un po’: la trama riceve sviluppi molto d’azione, anche banali se vogliamo, allontanandosi da quel complesso di teorie occulte che invece inizialmente ammaliava tanto e prometteva troppo… Nonostante il finale del libro sia affatto scontato o banale, anzi… Ma non rivelo troppo!

Lo stile di Barker è come sempre egregio e i dialoghi sono sempre ben strutturati e funzionali alla narrazione.

L’edizione è ben curata nonostante il carattere sia lievemente piccolo e la tipologia di stampa non sia eccelsa (la copertina è molto sottile) e potrebbe invogliare ad acquistare l’edizione di lusso, in edizione numerata e limitata, caratterizzata da carta di qualità, rilegatura e immagini esclusive.

vangeli sangue

Abraham Merrit – Il vascello di Ishtar – Recensione
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Finalmente ripubblicato, dopo molti anni di assenza dagli scaffali delle librerie italiane, il romanzo “Il vascello di Ishtar”, di Abraham Merrit, per l’editore Il Palindromo, nella meritevole collana I tre sedili deserti: note e traduzione di Giuseppe Aguanno, introduzione di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, con un saggio di Andrea Scarabelli e illustrazioni di Virgil Finlay.
Specifiche: gennaio 2018, pagg. 472, 15x19cm, bross. b/n, prezzo 26€ – ISBN: 978-88-98447-32-9

La trama, dal sito dell’editore: «John Kenton, appena tornato a New York dall’esperienza devastante della Prima guerra mondiale, riceve uno strano oggetto rinvenuto durante una campagna di scavi in Medio Oriente: un blocco di pietra al cui interno è custodito un piccolo vascello di gemme intagliate. Kenton non lo sa ancora, ma il manufatto è uno stargate, la soglia per un’altra dimensione, un mondo dove il suo coraggio dovrà scontrarsi con l’acciaio delle spade e la potenza di ancestrali divinità in lotta, e in cui ritroverà la voglia di vivere sperimentando la passione di un amore fuori dal tempo. Questo volume contiene la prima versione de Il vascello di Ishtar, pubblicata originariamente nel 1924 e inedita in Italia. Il romanzo è accompagnato dalle illustrazioni originali dell’epoca e da un ricco corredo di apparati critici. Abraham Merritt (1884-1943), maestro del fantastico e noto giornalista, è tra i pionieri e più apprezzati autori di letteratura fantasy. Stimato da H.P. Lovecraft e Clark Ashton Smith, tra le sue opere si ricordano: Il pozzo della luna (1919) e Gli abitatori del miraggio (1932).»

La storia fu originariamente serializzata sulla rivista americana Argosy All-stories, tra il novembre e il dicembre del 1924, in 6 episodi ed ebbe un grandissimo successo, al punto da essere votata come una delle storie più apprezzate dal pubblico ed essere eletta dai lettori nel 1938 come migliore storia della rivista, scalzando il ciclo di Tarzan di Burroughs (come peraltro ben chiarito nell’ottima nota biografica su Merrit in appendice al presente volume e opera della brava Maria Ceraso). Merrit fu un autore molto noto e apprezzato della sua epoca (addirittura una rivista fu battezzata in suo onore: A.Merrit’s fantasy magazine) e seppe ispirare molti grandi Autori (persino il ciclo di Cthulhu di Lovecraft potrebbe avere ricevuto suggestioni da The Moon Pool del 1918 di Merritt).

Ho voluto così introdurre l’Autore, perché ritengo che questo volume sia un tassello fondamentale di un percorso di narrativa fantastica in cui il carisma del suo creatore sicuramente ha influito positivamente. Sarebbe difficile e forse superiore alle mie competenze risalire alla prima opera fantastica in cui via sia un passaggio  tra i mondi, elemento già presente in Virgilio o Dante se circoscritto ai regni ctoni infernali, ma tema sicuramente di grande moda all’inizio del 1900: Il vascello di Ishtar mi ha ricordato alcune atmosfere de “La terra dell’eterna notte” di Hodgson e, per tornare a Burroughs, ha alcune assonanze con il ciclo di Carter di Marte o, persino, per impostazione della trama e intreccio dei personaggi e delle scene, con i fumetti di Flash Gordon.

Kenton, protagonista di questo romanzo, tramite il simulacro del vascello riesce di fatto a trasferirsi in un’altra epoca, quasi un altro mondo, dove persino lo scorrere del tempo è differente: qui recupera un ruolo eroico che nel nostro mondo non aveva. Inizialmente la scena è collocata sul vascello, diviso e separato tra il Prete Nero, Klaneth, tramite e celebrante del Dio della Morte Nergal, rappresentante delle tenebre, e le adoratrici di Ishatar (dea dell’Amore), tra cui la splendida sacerdotessa e tramite Sharane, di cui il protagonista si innamorerà. Kenton, passerà da schiavo a capo di una rivolta che prenderà il controllo della nave, con il passaggio di alcuni personaggi (Jiji e Zubran), inizialmente nemici, tra le file dei buoni, oltre all’amicizia con un altro schiavo (il vichingo Sigurd), tutti grandi comprimari della storia.

La religione e la mitologia sono elementi vivi e vivificanti del romanzo, che spazia dai miti mesopotamici a quelli nordici, creando un interessante intreccio, in cui il ruolo degli dei si affianca a quello dei personaggi, un po’ come nell’epica Omerica o, venendo ad Autori più recenti, nei cicli di Elric e Corum di Moorcock.

Dovremo aspettare gli anni ’70 per recuperare mondi divisi tra più piani (e divinità), come appunto in Moorcock o Zelazny fino al più recente Stephen King della torre nera, ma trovo che raramente – nemmeno tra alcune pagine di quest’ultimo ciclo del maestro dello horror contemporaneo, a tratti veramente immaginifiche – troveremo una più efficace e compiuta descrizione dei mondi paralleli come quella presente in questo romanzo e che vale la pena citare: «Di fronte aveva una vasta nebbia: vapori globulari argen­tei discendevano su di lui; il ventre curvo di un altro mondo. Quel mondo si stava scontrando col suo? No! Vi si stava sovrapponendo! La consapevolezza giunse subitanea e fugace: in quella minima frazione di tempo gli si manifestò come un’illuminan­te intuizione, sola chiave verso l’inesplicabile. Grazie ai lumi di questa rivelazione, Kenton vide la pro­pria Terra non per quello che sembra, ma per ciò che è: una vibrazione eterica negli intervalli tra le pulsazioni elettroniche di mondi su mondi che si intersecano, mondi originati dalla forza primigenia di cui queste vibrazioni sono espressione, nelle forme a noi note e in quelle che ignoriamo. Si figurò questi mondi e il proprio come un ammasso di elettroni: in verità ognuno di essi era piuttosto lontano dai propri simili, così come i pianeti, ben distanti l’uno dall’altro e dal sole. Attraverso gli abissi dello spazio, tra queste particelle, vide miriadi di congerie affini suddivise in globi nascosti e invisibili: ciascuno orbitava roteando senza inter­ferire con gli altri, eppure questi si incontravano, si compe­netravano, intrecciandosi. Mondi che si incrociavano secondo frequenze differenti, più alte o più basse, nella totale inconsapevolezza di queste tangenze. Mondi che si muovevano attorno e attraverso di noi, che si trovavano a coincidere in modo casuale, come segnali radio intercettati da un apparecchio non sintonizzato. Mondi sovrapposti come flussi di informazioni che, senza interferire l’uno con l’altro, scorrevano insieme sullo stesso cavo, grazie alla diversità delle vibrazioni. Il vascello di Ishtar navigava su uno di questi mondi paralleli. Il gioiello di gemme non era l’imbarcazione stessa, bensì una chiave capace di aprire un passaggio dalla dimensione d­i Kenton verso quella del vascello: un dispositivo che adattava le vibrazioni materiche del suo corpo a quelle del mondo della nave

Dopo la parte di trama sul vascello, e prima della conclusione – affatto scontata – della storia nella medesima sede, ecco che un’altra parte del romanzo si sposta sull’Isola di Emakhtila, dove accanto a nuovi personaggi, abbiamo alcune delle parti più evocative dell’opera, con toni aulici tali da ricordare quasi antichi poemi o testi sacri: come accennavo, il ruolo della mitologia è fondamentale in quest’opera, senza diventare pesante. Se ne ricava la profonda, davvero magistrale conoscenza di Merrit per la materia, che l’Autore tratta con completezza, rendendo appunto mito e divinità essenziali alla storia e alla trama stessa, in un modo che forse segna davvero il passaggio epocale del fantasy, per cui mi spingo a definire questo volume un tassello fondamentale del genere. Dopo Merrit, ci vorrà molto tempo prima che gli dei tornino a essere talmente rilevanti nell’immaginario, o perché partoriti direttamente da un mitopoieta dello spessore di Tolkien, oppure perché giovani autori, a partire da Zelazny appunto fino a un Gaiman odierno, sappiano recuperare il fascino che un intreccio tra vera mitologia antica e fantastico contemporaneo possano portare: ciò che oggi ha dato vita al genere urban fantasy, in nucleo già anticipato anche dal capolavoro Malpertuis di Jean Ray.

La storia è ben realizzata, alternando scene più poetiche e visionarie a numerosi duelli e battaglie, persino navali, caratterizzate da grande ingenio e descrizioni a tratti quasi macabre e gore.

Non posso che consigliarne la lettura agli amanti del fantasy e dell’epica, con il lieve avvertimento di prepararsi a un testo dallo stile ovviamente di inizio ‘900, che però non dovrebbe appunto stonare ai veri lettori del genere, che appunto avranno sicuramente dimestichezza con i capisaldi, tutti circa di questo periodo.

Una nota finale sull’edizione: di grande qualità, raccoglie le splendide illustrazioni di Finlay (vero maestro dei pulp anni ’30), e fornisce anche i vari apparati critici già menzionati. Ottimo il glossario dei termini mitologici, utile a una migliore comprensione del testo, e liminale l’introduzione di spessore di due Maestri come De Turris e Fusco. Ma soprattutto voglio plaudere all’ennesimo contributo di Andrea Scarabelli che, nonostante la giovane età, oggi si presenta sul panorama letterario italiano come forse il solo e più sapiente dei saggisti ESOTERICI, nel senso più aulico e accademico del termine. Nel suo mysterium coniunctionis riesce a recuperare il valore magico delle parole, per passare a trattare di narrativa fantastica fino a spingersi a spiegare (con citazioni di Autori di ambito filosofico e antropologico, assai più sapienziale del “banale” genere fantastico) temi come l’eterotopia, la ierogamia e la teogamia, facendoci riflettere sul vero significato del fantasy che, non a caso, viene chiamato in altri Paesi come Speculative fiction. Perché cos’è il fantastico se non il modo moderno di rappresentare miti Platonici, idee e archetipi, antichi come il tempo e l’inconscio umano?

Sabrina Lardini – Sleeping Sun – Il canto di Mana: libro 1 – Recensione
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Dalla quarta di copertina:

Noriko non è una qualunque sedicenne americana: è una ribelle dall’animo sensibile, in cerca di emozioni che soltanto la natura, custode di antichi misteri, è in grado di donarle. È nella campagna della Napa Valley, in California, che il suo spirito romantico si sveglia, e sono i vigneti dell’azienda agricola di famiglia che custodiscono i suoi ricordi più preziosi legati al padre, scomparso prematuramente. Un pomeriggio la giovane, colta da un improvviso acquazzone, si rifugia in una casa abbandonata dove incontra la misteriosa Mana, sfuggente e ritrosa come un gatto selvatico. Il destino fa sì che le due siano compagne nel nuovo anno scolastico al liceo di Saint Helena, ma ciò non impedisce che tra le due si instauri una feroce rivalità: Noriko, esuberante, spavalda e istintiva, si scontra con la determinazione e la freddezza della seconda, ma presto scoprirà quanto la presenza di Mana sia provvidenziale alla sua vita problematica, tra professori violenti, liti in famiglia e amori non corrisposti.
Vivendo i piccoli e i grandi drammi della gioventù, Noriko varcherà la soglia di un mondo che si cela nell’ombra e verrà a conoscenza di una guerra segreta nella quale lei e Mana hanno un ruolo fondamentale.
Sleeping sun è il grido di un sole ardente di pace e giustizia, la promessa di un nuovo ordine in un mondo dispotico, un sentimento ruggente di amore e libertà.

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Sleeping Sun è il primo libro (edito da EKT Edikit) per il ciclo de “Il canto di Mana”, di una giovane autrice esordiente lombarda, Sabrina Lardini (classe 1991).

Si tratta di un fantasy atipico, che potremmo inserire nel filone oggi molto in voga c.d. Urban fantasy e Young adult: storie in cui i protagonisti sono giovani che affrontano i problemi della quotidianità e dell’adolescenza, ma in un contesto in cui il nostro mondo contemporaneo si impregna di elementi magici e fantastici che descrivono un’altra realtà possibile, fatta di mito e magia, appena accanto alla nostra, nascosta solo da un labile velo.

Il libro, infatti, per una dose importante, potrebbe essere un classico romanzo di formazione, leggibile come tale anche da chi non ami il genere fantastico: incontriamo Noriko e assieme a lei scopriamo i drammi della sua infanzia, il difficile rapporto con la madre e il nonno, l’affetto per il fratellino, ma anche le difficoltà di una vita scolastica costellata di bullismo e rare amicizie, di amori non ricambiati, di professori e figure adulte talvolta al margine con la violenza o l’illegalità.

Partecipiamo al difficile triangolo amoroso che coinvolge Noriko e i suoi migliori amici, Grey e Nina, ma viviamo anche un altro complesso rapporto d’affetto verso Shiroi, esempio del classico ragazzo più grande, affermato, che tanto affascina figure più giovanili e ancora legate al mondo scolastico.

Soprattutto, scopriamo il misterioso ruolo di Mana, nuova studentessa appena arrivata a scuola, all’inizio acerrima rivale di Noriko, che poi diventa sempre più essenziale nella vita della ragazza, stravolgendola e portandola gradualmente alla comprensione di un mondo più vasto.

Un mondo in cui c’è posto anche per un’antica Dea, Hakidonmuya, l’origine di tutta la magia, le cui discendenti camminano ancora sulla terra: veniamo a conoscenza dell’antico popolo delle fate, di un complotto che ha sancito la fine del loro regno, fino a un’ intestina lotta secolare che vede sterminare tra loro famiglie appartenenti alla stessa società magica.

Accanto a sciamani capaci di tramutarsi in animali, e ai Pendolum, capaci di alterare il tempo, o agli Ubiquum, capaci di alterare lo spazio, ed ancora altre tipologie di famiglie dotate di diversi poteri magici, ci sono però i Cacciatori: esseri magici che ripudiano la loro natura e vogliono anzi annientare le fate per poi imporre il loro dominio sul mondo degli umani.

All’oscuro di tutto, infine, ci sono gli Ibridi: esseri a metà tra le fate e gli umani, confusi tra i mortali e ignari della loro vera natura e del loro ruolo nel conflitto. Dei “sonnambuli”, pronti a svegliarsi come il “sole” del titolo.

Chi tra i personaggi della storia si rivelerà un Ibrido? Chi una fata o un mago? Qual è il ruolo di Kachina, la discendente diretta di Hakidonmuya, in questa storia e con quale Ibrido inconsapevole cerca di entrare in contatto, alla ricerca di un Barrier, il più raro tra gli esseri fatati, capace di annullare il potere dei Cacciatori e rendersi introvabile?

Molte di queste domande restano aperte, in un volume che volutamente invita a quello che sarà il proseguimento della storia, iniziando con il farci conoscere bene i personaggi e le loro storie e personalità, in una vicenda che spazia tra varie situazioni, miscelando sfumature prettamente americane con altre dal sapore orientale e persino con saltuari riferimenti ai manga (questo libro avrebbe tutti gli elementi per essere tramutato in un ottimo Shojo delle Clamp).

Resta da fare un commento tecnico: è evidente che questo tipo di storia e trama (e ambientazione) può piacere o non piacere e forse offre spunti più per lettrici, data anche la sensibilità dell’Autrice. Eppure, bisogna complimentarsi con la Lardini per lo stile: è raro trovare un Autore esordiente che scriva così bene – soprattutto considerando la lunghezza del testo di oltre 400 pagine! – in una trama in cui sono rari i cali di tensione e francamente scusabili anche i pochi passi che possano mostrare uno stile ancora in formazione (qualche dialogo magari più ingenuo o qualche termine meno scorrevole o desueto).

In definitiva si tratta di un buon libro, che mostra l’esistenza anche in Italia di Autrici del fantastico che nulla hanno da invidiare alle anglofone Meyer o Rice, tanto per citarne due…

Un libro di cui consiglio la lettura, soprattutto al pubblico femminile che ama le love-story intrise di mistero e magia e personaggi oltre l’umano, ma su di un palcoscenico molto abitudinario, come potrebbe essere una nostra città o anzi un piccolo paese di provincia.

Un libro che, però, lascia la voglia di continuare la storia… Facendo attendere il secondo volume de “Il canto di Mana”!

Disponibile sia in cartaceo, al prezzo di 15,00 euro, che in ebook al prezzo di soli € 2,99!

L’Autrice:

Sabrina Lardini

Sabrina Lardini nasce a Voghera nel 1991. Laureata in Lingue e Culture moderne all’Università di Pavia, attualmente lavora per il secondo libro della saga Il canto di Mana, di cui Sleeping sun è il primo capitolo. Fra i suoi interessi rientrano la lettura dei grandi classici, dei romanzi di avventura, horror e fantasy.
Sleeping Sun è il suo primo romanzo.

http://www.ektglobe.com/prodotto/sleeping-sun/

E.G. Swain – Gli spettri della chiesa di Stoneground – Recensione
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Ho già avuto il piacere di parlare della Providence Press (con cui ho avuto il piacere di collaborare per il già esaurito primo numero della rivista Providence Tales) in varie occasioni: sia parlando del volume dedicato a Harrison, il detective di R.E. Howard, sia per l’antologia del sorprendente William Chambers Morrow, Il creatore di Mostri, ed ecco che nella stessa collana Silver Key arriva un terzo volume; la sola antologia rimasta di E.G. Swain – per suo espresso volere di oblio su altre opere – appartenente al filone delle storie di fantasmi inglesi.

Swain, infatti, amico di M.R. James (a cui dedica l’antologia), ha raccolto in questo volume l’eredità dell’amico, realizzando 9 storie di fantasmi davvero sorprendenti e originali: se James è fra gli indiscussi Maestri del genere – ricordato anche da Lovecraft – ecco che Swain non ha molto da invidiargli, sapendoci offrire delle storie dalle atmosfere davvero credibili e inquietanti.

Dal sito dell’editore: Roland Batchel è il vicario dello sperduto villaggio di Stoneground. È un amabile gentiluomo, appassionato di libri e antiquariato. Ma Stoneground è infestata da misteriose apparizioni sovrannaturali e toccherà al mite reverendo indagare sulla natura di questi fenomeni. Venite anche voi a Stoneground, per un viaggio nel passato con la grande tradizione inglese delle storie di fantasmi.

Il volume contiene il saggio introduttivo C’era una volta un vicario che abitava a Stoneground: la ghost story secondo il reverendo E.G. Swain di Giacomo Ortolani, come sempre ottimo, e nove racconti: L’uomo con il rullo; Ossa alle ossa; La famiglia Richpin; La finestra a oriente; Lubrietta; Il giardino di rocce; Il paralume indiano; Il luogo sicuro; Lo spettro della chiesa.

Caratteristiche del volume: brossurato 14,8×21; 160 pagine; euro 14,90.

Ottima la grafica e la fattura, come sempre per questo editore.

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Ho letteralmente divorato questo volume, che trovo spettacolare, perché ho apprezzato sia lo stile, molto piacevole, sia la descrizione delle scene, con atmosfere davvero inquietanti, ma anche la coerenza e credibilità con cui è trattato il tema degli spettri e revenants (o apparizioni extracorporee), nonché il modo in cui il Vicario li sa affrontare. Altre parti dei racconti, invece, hanno una vena ironica davvero coinvolgente e divertente, al punto da saper stemperare i racconti con risate e leggiadria (memorabile il personaggio di Wardle).

Batchel non è un vero detective del sovrannaturale e questi racconti raramente si abbandonano a banale gore: si tratta invece di racconti in cui l’atmosfera è fondamentale e in cui l’elemento del sovrannaturale giunge a sovvertire le regole della normalità, a volte in senso negativo, a volte persino positivamente, con la posizione del Vicario – appassionato d’antiquariato di grande pacatezza – che si trova a saperne comprendere e gestire le intime regole.

In generale, anzi, non manca quasi un alone di Provvidenza divina nella posizione del Vicario e/o delle entità con cui egli si trova a confrontarsi, in un senso escatologico non molto frequente, anzi quasi assente, in molte altre opere del genere, con una importante eccezione: molte atmosfere di questi racconti, più di altri, infatti, mi hanno ricordato certe storie del Carnacki di Hodgson, al punto da interrogarmi sui possibili contatti tra questi due Autori, almeno a livello di reciproca lettura…

Francamente poche volte, in vita mia, mi sono trovato a leggere un testo senza sapere cosa attendermi e ritrovarmi così soddisfatto dalla scoperta: davvero un recupero di un Autore, quasi assente in Italiano, che merita un encomio e che porrei a fianco a proposte come quelle di L.A. Lewis o L.E. White.

Servirebbe maggiore riscoperta di simili testi in Italia e sono certo che Providence Tales saprà proseguire in questo senso, come lasciano presagire le anticipazioni per il 2018 che riporto di seguito.

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In conclusione non posso che suggerire a tutti di acquistare e leggere questo libro, adattissimo a questo periodo dell’anno: accomodatevi sul divano, davanti a un bel camino acceso e immergetevi nelle atmosfere di Stoneground, ispirata alla reale Stanground di cui Swain fu realmente Vicario, come il suo fantastico personaggio.

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Foto della chiesa © Copyright Dave Hitchborne

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Max Gobbo – Alasia – La Vergine di ferro – Recensione
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Dalla quarta di copertina: Alla vigilia del Concilio di Trento con cui la chiesa romana intendeva portare a compimento la controriforma allo scopo di arginare l’eresia dilagante, l’Italia conobbe un flagello così terribile da oscurare perfino l’orrore della Peste Nera. Partorita dal ventre dell’inferno un’orda di demoni s’abbatté sulla penisola. Schiere di mostri immondi chiamati “mai morti” presero a popolare le notti atterrendo la gente e nutrendosi del sangue degli innocenti. A nulla valsero gli editti e le contromisure presi da principi ed ecclesiastici, nessuno pareva in grado di contrastare l’avanzata irresistibile del male. Ma quando giunse l’ora più fosca, in cui l’umanità sembrava condannata alla dannazione eterna, qualcuno si levò in sua difesa. Avvenne così che antichi ordini cavallereschi, monaci combattenti e giustizieri solitari iniziarono una lotta mortale contro le forze dell’oscurità. Tra questi ultimi avventurieri si narra che vi fosse anche una donna, una spadaccina delle più valenti, una vergine dal sangue purissimo cui Dio stesso avrebbe affidato il compito di debellare l’oscura minaccia, il suo nome era Alasia.

Volume edito da Watson, nella collana TrueFantasy a cura di Iascy e Zarbo, che si propone di rilanciare potentemente il genere in italia, questa raccolta di racconti di Max Gobbo conferma la grande abilità di questo Autore, di cui avevo già recensito le Storie del Necronomicon.

Il volume raccoglie tutti i racconti finora scritti sul personaggio di Alasia, tra loro indipendenti, ma legati da un sottile fil rouge che rende il volume quasi un romanzo.

Alasia è un personaggio femminile, in un’Italia distopica di stampo rinascimentale: due elementi – una donna protagonista e l’Italia come scena – che sono rari incontrare già separati e che aumentano il pregio dell’opera, ancor più perché concomitanti. Eroina che ricorda quasi una versione femminile del Solomon Kane di Howard, il personaggio è una Vergine di Ferro, anche nota come Mano Sinistra di Dio, cioè una spadaccina formidabile, dai tratti quasi sovrumani, che ha fatto voto di purezza e castità per servire il Papa e Dio al fine di mantenere quella purezza e quel potere che solo gli permette di affrontare il male, in un viaggio attraverso un’Italia dalle atmosfere cupe e fantastiche, tra villaggi tenebrosi e castelli popolati da mostri.

Alasia è la sola, Vergine, come la Madonna, a poter impugnare una spada benedetta (Iustitia, che lei ribattezza Vindicta), nella cui elsa è incastonato uno dei chiodi della Croce di Cristo, rendendo l’arma letale per qualsiasi mostro ultraterreno, così come micidiali sono i dardi delle sue pistole, fusi con il bronzo delle Porte di San Pietro, capaci di uccidere i mostri invulnerabili. Dotata di queste armi quasi magiche, la donna combatte demoni e vampiri mostruosi, i mai-morti, ribellandosi al tentativo del Nero Signore, emissario del Demonio, di predisporre il terreno per l’avvento del Male, arrivando persino a scontrarsi con sette di eretici e inquisitori perversi, fino a un crescendo in cui è la più grande reliquia italica a essere posta in pericolo: la Santa Sindone.

A tratti affiancata da altri personaggi ben delineati e pittoreschi, Alasia dovrà persino rinunciare all’amore per perseguire un fine più grande: quello del Servizio di Dio, che coincide però con il suo desiderio di vendicarsi della morte dei propri genitori, uccisi proprio dal Nero Signore.

Lo stile di Gobbo sembra emergere da un’altra epoca, come se il libro fosse la riscoperta di un classico perduto che, per tema e atmosfere, ricorda proprio il grande Howard o – per restare in Italia – il nostro spesso dimenticato Emilio Salgari, da Gobbo già omaggiato anche nel romanzo “L’occhio di Krishna” (ed. Bietti): intense le scene di guerra, tetre le descrizioni dei luoghi della paura, maestose e quasi liriche le splendide pennellate di paesaggi e sfondi.

Un libro che mi permetto di consigliare, soprattutto agli amanti del genere, a metà tra heroic fantasy e weird/horror.

Attendiamo altre storie di questo personaggio, che probabilmente non ha ancora terminato le proprie avventure…

H.P. Lovecraft – Oniricon – Recensione
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Ho finalmente potuto sfogliare lo splendido volume “Oniricon – Sogni, incubi & fantasticherie”, contenente materiale di H.P. Lovecraft e curato dal sempre eccelso Pietro Guarriello (massimo esperto di Lovecraft in Italia) e appena pubblicato da Bietti Ed. nella collana l’Archeometro (334 pag., € 20,00): si tratta di un vero gioiello.

Il libro si compone di varie sezioni. Si apre con un saggio introduttivo di Gianfranco De Turris, altro massimo esperto in materia. Segue poi il breve componimento poetico “Al sognatore” di H.P. Lovecraft, dal manoscritto della Brown University di Providence, e presenta poi una prima parte che è costituita da un vero e proprio epistolario, con una introduzione di S.T. Joshi e un ricco apparato di note esplicative. La nota editoriale, con grande chiarezza e tecnicismo, offre precisamente i riferimenti alle fonti originale, cosa spesso assente in altri epistolari e invece di grande utilità. Le principali fonti, infatti, sono i volumi delle Selected Letters americani (o The H.P.Lovecraft Dream book, Necronomicon press 1994, a cura di Joshi, anche se parte di questo materiale è di fatto presente anche nelle Selected letters, ma non tutto!) e un paio di lettere custodite alla University of Minnesota.

Di 41 contributi epistolari complessivi, più della metà sono inediti in Italia, mentre le altre lettere sono state stampate pressoché solo in volumi oggi fuori catalogo o di difficile reperibilità: ma sulla disamina delle singole lettere tornerò dopo, in conclusione dell’articolo. Posso però chiarire immediatamente che molte di queste lettere concernono proprio dei sogni fatti da Lovecraft e dai lui raccontati ai suoi destinatari: è noto come l’attività onirica di Lovecraft fosse caratterizzata da sogni già molto strutturati e ordinati, al punto che a volte da essi egli ha tratto dei racconti già pressoché organizzati; ebbene, in molte di queste lettere trova posto una sorta di selezione di racconti inediti. Non si tratta cioè di lettere dal contenuto eccessivamente pedante o tecnico, bensì soprattutto di grande portata immaginaria e narrativa.

Segue poi una seconda sezione, introdotta da un saggio di Guarriello, contenente alcuni racconti che sono derivati proprio da sogni di Lovecraft, da lui scritti o elaborati come “collaborazioni postume” o che riguardano la materia del sogno, con un apparato critico che li pone in confronto proprio con le epistole contenute nella sezione precedente e che li riguardano.

Questa sezione, contiene (in una nuova e pregevole traduzione) i racconti: Nyarlathotep; La testimonianza di Randolph Carter; Polaris, Celephaїs, Sotto il chiarore lunare, La “cosa” sul campanile e I sogni di Yith. Mentre i primi quattro sono già presenti sia nelle antologie Newton che Mondadori e il quinto solo in Newton, gli ultimi due sono presentati qui per la prima volta in italiano.

Il volume si conclude poi con un altro saggio di Giuseppe Magnarapa e un indice dei nomi.

Oniricon, pertanto, si presenta come un volume di altissimo pregio, sia per contenuti che per cura editoriale e non può mancare nella biblioteca di un vero cultista lovecraftiano…

Concludo tornando in maniera puntuale ed esaustiva sulle epistole. Come noto, ho già ampiamente analizzato le edizioni italiane di tutta l’opera di H.P. Lovecraft in varie occasioni: ripercorrendo l’opera completa in Italia, partendo dalle edizioni più vecchie e dando risalto a quelle maggiormente commerciabili e utili, anche in un aggiornamento recente sulle nuove edizioni del 2016/17, nonché affrontando anche l’analisi dell’intero epistolario in una ancor più recente occasione.

Rispetto, appunto, a questa recente analisi delle lettere di Lovecraft, che invito a consultare in parallelo alla lettura di questo articolo, mi è quindi possibile offrire una tabella riassuntiva dei contenuti di Oniricon che pone appunto a confronto le 41 lettere di questo nuovo volume con le precedenti edizioni e con la raccolta delle Selected letters americana, di cui si ripropone la numerazione originale: ecco, quindi, che nella prima colonna trovate il numero che contraddistingue le lettere degli epistolari americani (5 voll. di Selected Letters della Arkham House), per totali 930 lettere, a cui ho aggiunto, in calce, alcune lettere da me numerate seguendo la numerazione originale, assenti nelle Selected letters, ma presenti in questo volume (tratte, come accennato supra, soprattutto dal volume The H.P.Lovecraft Dream book); nella seconda colonna trovate il destinatario, mentre nella terza la data di compilazione (in ordine cronologico). Seguono i riferimenti di presenza in edizioni italiane: la 4a e 5a colonna sono dedicate alla indicazione di quali lettere sono presenti nel volume “Lettere dall’altrove” (ed. Mondadori, a cura di Giuseppe Lippi) con la relativa pagina di riferimento; la 6a e 7a colonna, in modo similare, sono dedicate alla indicazione di quali lettere sono presenti nel volume “L’orrore della realtà” (ed. Mediterranee, a cura di Sebastiano Fusco e Gianfranco De Turris) sempre con la relativa pagina di riferimento. Nell’ultima colonna, infine, è indicata la presenza, integrale o per frammenti, in altri volumi italiani e più nello specifico “Istantanee” (ed. Mondadori), “Il libro dei gatti” (ed. Il Cerchio, a cura di Pietro Guarriello) e “Il vento delle stelle” (Ed. Agpha press, sempre a cura di S. Fusco), ma soprattutto è indicata la presenza nel presente volume Oniricon.

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Concludo augurandoVi una buona lettura!

Le lettere di H.P. Lovecraft
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Ho già affrontato l’analisi precisa delle edizioni italiane di tutta l’opera di H.P. Lovecraft in due occasioni: ripercorrendo l’opera completa in Italia, partendo dalle edizioni più vecchie e dando risalto a quelle maggiormente commerciabili e utili, e in un aggiornamento recente sulle nuove edizioni del 2016/17. Restava però da affrontare il titanico argomento delle lettere, in buona parte tuttora inedite in Italia: un durissimo lavoro, che però qualcuno doveva pur fare… E quel qualcuno sono stato io.

Di seguito trovate l’analisi dei principali testi contenenti le lettere di Lovecraft. Nella prima colonna trovate il numero che contraddistingue le lettere degli epistolari americani (5 voll. di Selected Letters della Arkham House), per totali 930 lettere, a cui ho aggiunto, in calce, alcune lettere da me numerate seguendo la numerazione originale, assenti nelle Selected letters, ma presenti in alcune edizioni italiane (evidentemente tratte da altre fonti o epistolari americani). Nella seconda colonna trovate il destinatario, mentre nella terza la data di compilazione (in ordine cronologico). Seguono i riferimenti di presenza in edizioni italiane: la 4a e 5a colonna sono dedicate alla indicazione di quali lettere sono presenti nel volume “Lettere dall’altrove” (ed. Mondadori, a cura di Giuseppe Lippi) con la relativa pagina di riferimento; la 6a e 7a colonna, in modo similare, sono dedicate alla indicazione di quali lettere sono presenti nel volume “L’orrore della realtà” (ed. Mediterranee, a cura di Sebastiano Fusco e Gianfranco De Turris) sempre con la relativa pagina di riferimento. Nell’ultima colonna, infine, è indicata la presenza, integrale o per frammenti, in altri volumi italiani e più nello specifico “Istantanee” (ed. Mondadori), “Il libro dei gatti” (ed. Il Cerchio, a cura di Pietro Guarriello) e “Il vento delle stelle” (Ed. Agpha press, sempre a cura di S. Fusco), oltre a un’unica lettera in Studi Lovecraftiani n. 12-bis.

Vi prego di considerare il materiale riservato e di citare la fonte in ogni caso. Buona lettura!

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William Chambers Morrow – Il Creatore di Mostri – Recensione
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Providence press è una nuova e agguerrita casa editrice, che sta cercando di recuperare alcune delle perle introvabili della narrativa pulp e weird di fine ‘800.

In questa riscoperta, dopo Harrison, il detective di R.E. Howard, nella stessa collana ecco arrivare William Chambers Morrow, uno dei precursori di Bierce e Lovecraft, come sapientemente illustrato nell’ottima introduzione del sempre minuzioso Giacomo Ortolani, che apre un nuovo tassello nell’albero genealogico del weird.

Il volume (che omaggia il primo e ritengo migliore dei racconti) si intitola Il creatore di mostri e altre storie dell’orrore, anche se in questo è forse fuorviante: i racconti di Morrow spaziano tra i generi e sono weird nel senso più ampio del termine, perché sono sorprendenti e bizzarri, difficili in realtà da circoscrivere a un genere preciso.

Del resto Morrow scrive in tempi ampiamente precedenti la narrativa di genere contemporanea, senza poter prevedere gli stilemi che sarebbero seguiti a lui e ai suoi successori: così ecco che accanto a racconti dalle forti sfumature horror, ce ne sono altri molto diversi, dove lo straniamento volge al thriller o alla proto-fantascienza, in una purezza di stile che ricorda appunto “liberi” autori come Bierce o Chambers, in bilico sul gotico, ormai lasciato alle spalle, e orientati verso un nuovo modo di stupire il lettore.
Un caso editoriale quindi, che per stranezza mi ricorda autori come Grabinski o persino Ligotti, quello più surreale di Teatro Grottesco.

Il volume, come accennato, contiene il saggio introduttivo W.C. Morrow, uno scrittore “famosamente oscuro” di Giacomo Ortolani e dieci racconti: Il creatore di mostri è il racconto più strabiliante di tutti, con sfumature di horror e quasi proto-fantascientifiche di altissimo spessore; Il nemico invincibile è un racconto dalla forte pressione psicologica, che mi ha ricordato lo stile di Poe.

Lo stiletto permanente è un racconto di grande impatto, curioso nello sviluppo e nel finale, così come lo sono i successivi La porta sbagliata e L’automa maledetto, mentre Lo scassinatore posseduto è un altro brillante risultato di weird su un tema che ritroveremo in storie più recenti e che tuttora ricorre nelle storie horror, sia scritte che su pellicola (non voglio spoilerare nulla, ma… quando capirete cosa intendo, mi stringerete la mano!).

La resurrezione della piccola Wang Tai è un racconto divertente e più poetico degli altri, mentre Un barlume di insolito e L’amuleto fedele sono nuovamente di un surreale molto bizzarro e diciamo pure di grande divertissement e ironia; mentre ancora L’ombra tenebrosa rappresenta un archetipo suggestivo, dal finale sorprendente, che nuovamente gioca su temi che la letteratura posteriore saprà riproporre e ristrutturare in molte sfaccettature.

Insomma, indubbiamente non è il classico volume di storie horror, ma rappresenta un elemento di storia della narrativa weird e grottesca di grande curiosità: un tassello prezioso nella riscoperta della storia letteraria del genere, almeno in Italia dove di questo autore erano stati pubblicati due soli racconti.

Caratteristiche del volume:

  • brossurato 14,8×21
  • 168 pagine

  • euro 14,90
Clive Barker – Schiavi dell’inferno – Recensione
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Proseguendo nella lettura di Barker, di cui ho già recensito Anime torturate, non potevo che affrontare Schiavi dell’Inferno, la storia da cui è tratto il celebre film Hellraiser, primo di una lunga e fortuna serie che ha reso celebre il personaggio di Pinhead, demone con la testa piena di chiodi, sacerdote del dolore e del piacere, nell’Ordine dei Cenobiti.

Indipendet legions ha recentemente ripubblicato il volume, insieme al suo seguito (Vangeli di Sangue, che sto leggendo e di cui parlerò prossimamente e che mi sta letteralmente conquistando).

Dalla quarta di copertina: La novella da cui è stato tratto il celebre film Hellraiser (1987) e che ha dato vita all’iconico personaggio di Pinhead. L’insaziabile appetito di Frank Cotton per i piaceri più estremi lo ha condotto a risolvere l’enigma della scatola di Lemarchand, un portale in grado di garantire l’accesso a un mondo extra-dimensionale abitato dai Cenobiti, membri di un ordine religioso dedicato a insondabili ed estremi piaceri carnali, che lo hanno imprigionato in uno stato di non-esistenza di eterna tortura e sofferenza. Ma la moglie di suo fratello, Julia, ha scoperto un modo per riportare in vita Frank e liberarlo dalla sua prigione di dolore, anche se il prezzo da pagare sarà terribile. Illustrazione di copertina di Daniele Serra. 185 Pagine. Lingua Italiana

Lo stile di Barker è abbastanza asciutto ed essenziale, pur con tratti di maggior profondità, ma questo non vuole essere un difetto, anzi permette di far scorrere il testo piacevolmente. Forse, solo a tratti rari, il dialogo quasi da scenggiatura cinematografica, avrebbe potuto consentire una più schematica partizione dei personaggi, attraverso una più articolata descrizione dei loro gesti o sentimenti, ma indubbiamente questo avrebbe rallentato il dialogo che comunque è pressoché sempre ben strutturato e funzionale alla narrazione.

Come sempre, Barker infarcisce il testo con elementi sadomasochistici, che ne sono il tratto peculiare e distintivo: diciamo che se la cosa non aggrada, forse è meglio soprassedere dalla lettura di Barker in generale, ma al contempo è una sua peculiare visione dell’orrore. Del resto, il fatto che dei demoni che vogliono torturare le loro vittime, anime e corpo, siano dei carnefici, quasi macellai, capaci di far sopravvivere un corpo durante torture ingegnose a base di uncini, catene, lame etc, non è assolutamente fuori posto nel genere di riferimento, né così lontana dalle cupe atmosfere infernali cui lo stesso Dante Alighieri ci ha abituato in letteratura più alta: i demoni Barkeriani sono più moderni e contemporanei, ma pur sempre dei demoni.

In realtà questa componente è solo una cornice del testo, perché il grosso della trama è incentrato sul rapporto “malato” che unisce Julia e Frank, il fratello di suo marito che sta cercando di ricomporre e liberare dalla prigionia dei Cenobiti: la violenza è quella di una coppia di amanti, perversi e malvagi, molto umana e terrena.

L’idea della Scatola di Lemarchand, un marcingegno capace di aprire un varco tra i mondi, è semplicemente geniale: i Cenobiti sono più raffinati di quanto la pellicola possa far trasparire. Il loro tipo di piacere si manifesta nel risvegliare capacità sensoriali estreme, che Barker descrive con maestria e lucidità.

Guardando il film, fin dalla prima volta, ho sempre pensato che la storia fosse molto più raffinata e originale di quanto il merchandise dei film possa lasciar fugacemente immaginare e questo libro conferma maggiormente l’idea: assai più del film, con quasi un baratro in mezzo, si presenta come una storia horror ben strutturata e scritta magistralmente. Una pietra miliare della narrativa di genere.

L’edizione, come per Anime torturate, è ben curata nonostante il carattere sia lievemente piccolo e la tipologia di stampa non sia eccelsa (la copertina è molto sottile) e potrebbe invogliare ad acquistare le edizioni di lusso, in edizione numerata e limitata, che saranno caratterizzate da carta di qualità, rilegatura e immagine esclusive.

Si legge comunque in poche ore e divorandolo con piacere.